Francesco Demuro, il successo preso di petto
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L’acclamato tenore col cuore da cantadore festeggia dieci anni di fulgida carriera nel mondo
Se lo contendono i più prestigiosi palcoscenici della lirica ma per Porto Torres continua ad essere “Franceschino”, l’orgoglio turritano. Acclamato tenore nei teatri internazionali Francesco Demuro dà poca rilevanza alla celebrità. Preferisce concentrarsi su se stesso dimostrando costantemente di meritare il palco; nel rispetto di un’arte esigente, ma prodiga di gratificazioni che dieci anni fa lo ha accolto, e colto di sorpresa. Lui vuole essere esattamente ciò che è: un cantante lirico. E così con la testa e il cuore temprati dal “cantu a chiterra”, Francesco porta in scena la verità del sacrificio e dell’ambizione. Il fascino del cambiamento e della determinazione. Scortato dalla sua istintiva modestia, sotto le luci incrociate dei riflettori, si mostra sontuoso e lindo. Come la sua anima.
«CANTARE IN SARDO? LA PIÙ GRANDE SCUOLA DI VITA»
«Anche Riccardo Muti e Daniel Barenboim curiosi di capire da dove provenissero i fiati lunghi e gli acuti»
Francesco, ad ottobre hai festeggiato dieci anni di fulgida carriera nella lirica. Gran bel traguardo! In quale teatro è avvenuto il tuo debutto e con quale ruolo?
Il mio debutto ufficiale avvenne al Teatro Regio di Parma per il “Festival Verdi”, nel 2007, con la “Luisa Miller”. Opera impegnativa e piuttosto ostica per un esordiente, ma grazie al cielo fu un successo che mi aprì le porte di tanti teatri del mondo. Ci tengo a dire però che il mio debutto, quello del cuore, come cantante lirico avvenne a Sassari al teatro Verdi con l’Ente Concerti’, all’epoca diretto dal regista Marco Spada. Lui mi diede la possibilità di fare una recita generale di Tosca. Andò bene e grazie a questa occasione conobbi il mio attuale agente: Gianluca Macheda.
Immagino tu abbia tanti aneddoti da raccontare …
Sì. Il debutto alla Scala di Milano avvenuto in modo molto bizzarro. Era già previsto un mio coinvolgimento in un’ opera come contratto futuro, ma il 5 febbraio 2010 chiamò il mio agente e disse: <<stasera debutti alla Scala>>. Era inverno, nevicava, e da Lucca, dove risiedevo, raggiungere Milano sarebbe stata un’impresa. Ma dovevo muovermi. In treno da Firenze, in piedi ripassai lo spartito del Rigoletto. Arrivato alla stazione fui caricato in macchina come un malvivente (ride,ndr) e vestito di corsa. Entrai appena in tempo per cantare il duetto “ il sol dell’anima”. Non avevo fatto prove musicali e di regia, improvvisai e fu un successo. Da quell’esibizione vennero fuori contratti in più rispetto a quelli che già avevo. Anche il debutto al Metropolitan Opera House di New York avvenne in maniera simile. Dopo sette anni dall’inizio della carriera, avevo un contratto mio con una Traviata prevista per il 30 dicembre 2015. Andai lì un mese e mezzo prima. Durante una prova di canto mi chiamò il sovrintendente del Met e mi domandò: «te la senti di cantare la Boheme, stasera? Abbiamo urgente bisogno di te perché il tenore si è ammalato».
Il 24 novembre 2014 Francesco anticipa il debutto di ruolo con la regia di Franco Zeffirelli. E’ un trionfo. Il giorno dopo il New York Times titola “Un sipario in ritardo e un nuovo eroe, Francesco Demuro salva la Traviata”. Anthony Tommasini – critico musicale della testata giornalistica – scrive: «(…) Mr. Demuro ha rivelato una grande forza espressiva, veemente e molto toccante».
L’ennesima impellenza, sulle note della Traviata, porterà Francesco al cospetto di Daniel Barenboim a Berlino per una recita di Capodanno. Applausi scroscianti ed una sequela di contratti nella capitale tedesca. Il Demuro sardo si esibisce per Principi e presidenti e lavora con i più importanti registi internazionali: Pizzi, Carsen, Wenders e Micheletto. E nell’incanto rinnova la sua proverbiale umiltà. Calca il palcoscenico in coppia con Placido Domingo: padre e figlio nella Traviata. Rinnovato tripudio.
Come ti sei avvicinato al canto lirico?
Lentamente. Sono cresciuto in una famiglia in cui si seguiva la cultura della tradizione popolare. Già da piccolo cantavo in sardo e riuscivo a dare il massimo. In quel periodo inseguivo il sogno di andare a Sanremo. Il vecchio Sanremo, quello delle grandi canzoni.
DIECI ANNI DI CARRIERA
«…Te la senti di cantare la Boheme, stasera? Abbiamo urgente bisogno di te perché il tenore si è ammalato.»
Un sogno intentato?
No, ci provai. Feci un’audizione a Sassari con “Granada”. Ci fu un’ovazione. Ma capitò una cosa strana; al momento della classifica non fecero il mio nome, e quando andai a chiederne il motivo risposero che pensavano fossi l’ospite d’onore (ride ancora ndr). Il Presidente di giuria mi suggerì la strada della lirica. In seguito, durante un’esibizione al Teatro Lirico di Cagliari, la compianta soprano Giusy Devinu, in maniera entusiasta mi esortò a studiare canto lirico. Seguii il suo consiglio e iniziai a prendere lezioni private dal rigoroso soprano Elisabetta Scano. Sempre a Cagliari studiai da privatista al Conservatorio.
Cosa rimane del canto popolare sardo?
Il cuore e i sentimenti. Rimane la tempra che mi ha forgiato rendendomi l’uomo e l’artista di oggi. Non ho abbattuto nulla di ciò che è stato, vi ho semplicemente costruito sopra. Cantare in sardo è stata la mia più grande scuola di vita. Fa sempre parte di me, mi capita spesso di intonare qualche brano che mi viene richiesto spesso anche durante i party, dopo le recite. Ho fatto conoscere il canto della mia anima a grandi maestri e direttori d’orchestra, Riccardo Muti e Daniel Barenboim. Erano curiosi di capire da dove provenissero i fiati lunghi e gli acuti.
Strabilianti “fa” quelli del tenore Demuro – affrontati nei Puritani di Bellini, che ben si collocano nel pentagramma del “fare”. Nota disciplinata dal ritmo incessante del sudore e scandita dall’inossidabile tenacia. La stessa che mai è venuta a mancare, neanche nei periodi più grevi.
Prima di ogni recita Francesco si lascia cullare dalle “boghes” del canto sardo confortato da quelle note così familiari, in cui si identifica. E quando può, regala ai suoi conterranei emozionanti esibizioni in piazza. Quasi per rinnovare una tacita promessa.
È stato tecnicamente difficile passare dal canto sardo alla lirica?
Ho dovuto lavorare molto. C’è stato un grande e profondo studio per cambiare l’impostazione vocale che nella lirica è completamente diversa. Il canto sardo per natura è un canto più di gola, un suono tutto di testa. Più acuto e timbrato. Nella lirica si canta con un grande appoggio diaframmatico e la giusta tecnica vocale.
Quanto gioca la carica emotiva in ogni tua interpretazione?
I primi anni le emozioni erano forti poi ho imparato a gestirle. Un percorso interiore grazie al quale ho acquisito autocontrollo, pur continuando a mettere molto di me e della mia vita nel personaggio che interpreto. Il canto lirico per metà è talento, studio, intelligenza e tecnica. Per l’altra è determinazione e carattere. Ma anche la presenza fisica è fondamentale; prima la regia era statica, ora c’è movimento ed è necessario seguire i cambiamenti. Oramai i registi esigono vere acrobazie. Anche per questo motivo faccio sport, corro e curo l’alimentazione.
Francesco, qual è la tua più grande forza?
Sono un perfezionista. Il peggior critico di me stesso. In generale, i cantanti lirici vengono recensiti sempre, e le critiche talvolta sono pesanti. Personalmente, non sono mai stato contestato durante una recita, e ho lavorato sulle critiche costruttive che mi sono state rivolte. Il nostro è un mondo molto competitivo e spesso dietro un giudizio non ci sono motivazioni nobili.
Tanti i palchi, tanti gli anneddoti da raccontare. Come quel debutto alla Scala avvenuto in modo bizzarro.
Tra i compositori quale ti premette di esprimere al meglio il tuo talento?
Gaetano Donizetti. Un compositore dalla singolare sensibilità musicale capace di entrare nella psicologia del personaggio tenendosi in equilibrio tra il serio e il faceto. Grazie a lui posso spaziare nell’ interpretazione dei ruoli e riscoprirmi in differenti vesti: Edgardo nella Lucia di Lammermoor – interpretato quest’anno a Venezia – Ernesto del Don Pasquale e il Conte di Leicester nella Maria Stuarda.
Qualche giorno fa hai debuttato con il Faust di Gounod.Quale occasione migliore per tornare a calcare il palcoscenico di Modena!
Ho provato una doppia emozione che mi ha riportato al teatro di Modena a dieci anni dal debutto. E’ stata la mia terza opera francese, un ruolo che attendevo da tempo e per cui mi sono preparato tanto. L’ho affrontato in punta di piedi, come faccio ad ogni mio esordio, con umiltà e soprattutto al servizio della musica e dello spartito. Sono state forti le emozioni. E l’affetto del pubblico mi ha commosso.
Il dottor Faust nella sua sete di sapere invoca il diavolo che, al prezzo della sua anima, gli concederà la conoscenza assoluta. Tu hai fede?
Sì. Fin da bambino si è fortificata in me quando ho avuto reale consapevolezza della mia voce e del grande dono che ho ricevuto. Si dice che chi canta prega due volte: ecco! Questo dà il senso a quello che provo.
In questi ultimi anni la Sardegna ti ha conferito diversi riconoscimenti. Ne ricordiamo qualcuno: “I Candelieri di Ploaghe”, il “Candeliere d’oro speciale” di Sassari, il premio “Maria Carta” di Siligo e il premio “Zenias” di Ittiri Folk Festa. Cosa significano per te?
Sono le emozioni più intense, i riconoscimenti più importanti perché arrivano dalla mia terra natia. Rappresentano l’affetto e l’abbraccio della mia gente che non mi ha mai lasciato solo. Questo mi rende infinitamente orgoglioso e fiero. L’ultimo grande attestato di stima è avvenuto dalla comunità di Uri, a cui sono profondamente legato, che mi ha insignito della cittadinanza onoraria. Meraviglioso regalo!
Vuoi dedicare un’aria alla tua Sardegna?
Dedico “Nessun dorma”, celebre romanza della Turandot di Giacomo Puccini. Con la speranza che un giorno questa bellissima terra possa uscire dalla crisi e splendere come merita. Senza più disoccupati e industrie costruite su spiagge paradisiache.
Quali saranno i tuoi prossimi impegni?
Alla Scala di Milano per un due concerti di Natale con una messa all’insegna di Mozart. Quindi a Bologna per la Boheme, produzione importante che verrà trasmessa in streaming e nei cinema, che avrà un’attenzione mediatica molto forte. Dunque sarà la volta della Traviata al San Carlo di Napoli. Nel prossimo futuro ritorno a Berlino, Pechino, New York, Parigi e Madrid. Ho firmato contratti fino al 2021.
Francesco, tra meno di un mese spegnerai 40 candeline. Esprimi due desideri a voce alta
Il desiderio più grande per me è semplice e comune a molti genitori: poter vivere a lungo per vedere le mie figlie crescere e diventare donne forti e consapevoli. E magari vedere realizzati i loro sogni. L’altro è ritornare a Sassari e cantare per la gente che amo e preferisco in assoluto. La mia gente.
Francesco Demuro – Tombe degli avi miei (Lucia di Lammermoor)
Si ringraziano Francesco Demuro, Vittoria Contini e l’Ufficio Stampa Fondazione Arena di Verona
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