Cagliari – Marco Mengoni per il pokerissimo del Capodanno in Sardegna


illustrazione: C Nico
L’assalto a Capitol Hill, le azioni violente e i blocchi ai social di Trump e seguaci (ne abbiamo parlato qui), riportano a galla importanti quesiti
In un mondo in cui i social network sono alla base della socializzazione e della comunicazione – anche istituzionale – ci si domanda chi possa interrompere o meno la voce digitale di un soggetto. In molti discutono su chi tra il proprietario della piattaforma, ad esempio Mark Zuckemberg (Facebook), un’autorità politica o super partes debba intervenire in caso di comportamenti parossistici come l’incitazione all’odio e alla violenza.
Tra le conseguenze più gravi c’è il pericolo che il digitale diventi effettivamente reale. I fatti culminati nell’assalto del 6 gennaio, sono stati fomentati sui vari social media a partire dai gruppi Facebook fino ad arrivare alla piattaforma Parler, una sorta di Twitter particolarmente frequentato da estremisti e sostenitori dell’ex presidente americano il quale ne ha, più volte, sostenuto e incitato le iniziative.
Facebook, Twitter e compagnia parlante non sono editori (con facoltà di scelta sui contenuti pubblicati) ma piattaforme private che permettono la partecipazione gratuita ai singoli utenti e che basano il proprio progetto imprenditoriale su dinamiche pubblicitarie, perseguono quindi uno scopo di lucro. I ban dei giorni scorsi hanno infatti provocato, paradossalmente, non solo una perdita in termini di profitti derivanti alle migliaia di inserzioni mancanti dai profili bloccati, ma soprattutto un crollo vertiginoso dei titoli in borsa (-10% Twitter, -3,2% Facebook).
Facebook ha più volte sottoposto a blocco temporaneo alcuni profili o pagine segnalate da altri utenti, Twitter allo stesso modo aveva da tempo notificato ai profili sotto osservazione il possibile blocco. La clamorosità del fatto sta però nell’uniformità dell’azione verso i profili del 45° – a questo punto ex – Presidente degli USA: Facebook e Instagram, Twitter, TikTok, Twitch, Reddit, Snapchat, Pinterest, Youtube e addirittura Shopify. Anche la già citata piattaforma Parler è ormai impossibile da scaricare da App Store e Play Store. Un fronte comune condizionato soprattutto dalle minacce di atti violenti che potrebbero essere posti in essere durante il passaggio di consegne tra Tump e Biden del prossimo 20 gennaio.
Se si analizza il caso specifico degli account trumpisti, la discussione verte su diritti fondamentali quali la libertà di parola, la libertà di opinione e la libertà di informazione. Si pongono quindi sui piatti della bilancia questi principi cardine per la Costituzione italiana (e non solo) e la facoltà di accettare o meno un regolamento interno alla community che ne condiziona di fatto la nostra permanenza. Mentre scriviamo però, sono ancora online molteplici contenuti “offensivi” provenienti dalle più disparate fonti e orientamenti politici.
La domande risuonano ancora forti: un social privato, ma che ormai eroga un servizio pubblico, può essere totalmente libero di autoregolarsi? E l’assenza dell’intervento politico, per quanto discutibile, potrebbe rischiare di dare ancora maggiore autorità all’unico soggetto forte in questione?
I capi politici di tutto il mondo espongono la loro opinione. Le Maire – ministro francese dell’economia – sostiene che la regolamentazione della rete non spetti ai colossi del web. Dalla Germania invece la Merkel considera il blocco un atto <<problematico>> e Bolsonaro dal Brasile <<paradossale e inaccettabile>>. Interviene poi l’UE che con la voce di Josep Borrell (alto rappresentato per gli affari esteri e la politica di sicurezza) sostiene che occorra regolamentare meglio i contenuti dei social network, <<rispettando scrupolosamente la libertà di espressione>> ma che questo non possa essere messo in pratica anche rispettando le procedure da dei soggetti privati.
La discussione rimane aperta ma l’8 gennaio 2021 verrà ricordato come una data spartiacque per le piattaforme digitali. Per dirla con le parole di Breton (commissario Ue per il Mercato interno): <<una sorta di 11 settembre nello spazio informativo>>.