
di Gianmichele Lisai
TRA MEDICINA PRIMITIVA E PROTOCHIRURGIA

Il viaggio alla scoperta della vita, delle credenze e dei riti popolari degli antichi Sardi prosegue. Nel numero precedente abbiamo parlato dei riti di incubazione che si presume fossero in uso presso i nostri antenati per la cura di varie psicosi e altre malattie della mente e del corpo – come per esempio l’epilessia – ritenute manifestazioni del maligno, sintomi della possessione demoniaca.
Simile per finalità doveva essere un’altra pratica, legata sempre alla sfera magico-religiosa, radicata in Sardegna già in epoca prenuragica: la trapanazione cranica in vivo, dove medicina popolare e proto-chirurgia si incontrano fissando nella memoria lo straordinario grado di evoluzione non solo spirituale ma anche “scientifico” dei Sardi antichi.
Testimonianze di questo progresso sono emerse da varie sepolture, concentrate specialmente nel nord dell’Isola ma diffuse in tutta la regione. Nella piana della Nurra, lungo la strada che collega Sassari a Porto Torres – dove si estende l’area nota soprattutto per la presenza dell’altare preistorico di Monte d’Accoddi (l’unica “ziggurat” del Mediterraneo occidentale) – tra le numerose emergenze archeologiche si registra la necropoli di Su Crucifissu Mannu, un complesso di Domus de janas di grande importanza. Questo monumento funerario, realizzato tra il IV e il III millennio a.C. in un banco di rocce calcaree che comprende circa ventidue tombe composte di più vani, ha restituito due scheletri con cranio trapanato: indizi di antiche cerimonie curative, officiate si pensa da sciamani, guaritori, stregoni o sacerdotesse, che mescolavano gli “esorcismi” con una sorprendente conoscenza anatomica e chirurgica.
Simili trapanazioni avvenivano su pazienti vivi, secondo gli studiosi per ragioni terapeutiche sconosciute ma facilmente ipotizzabili: emicranie, tumori, ematomi etc. Manifestazioni fisiche di qualcosa di oscuro che doveva essere sanato tramite rituali esoterici ed esorcistici volti a liberare il corpo posseduto dagli spiriti maligni.
I segreti di tali conoscenze, in tutta probabilità e come da tradizione nel campo della medicina popolare isolana, si tramandavano di generazione in generazione, dallo sciamano padre al proprio figlio o dalla sacerdotessa alla propria discepola.
I crani rinvenuti nella necropoli di Su Crucifissu Mannu presentano entrambi due trapanazioni. Il primo mostra segni di cicatrizzazione soltanto in uno dei fori, questo significa che il paziente sarebbe sopravvissuto al primo intervento, ma non al secondo eseguito circa un anno dopo. Quello della seconda tomba, invece, presenta segni di cicatrizzazione in entrambi i fori. Il paziente sarebbe quindi sopravvissuto a entrambi gli interventi subiti.
Come il foro fosse praticato è difficile da determinare con certezza, si pensa tuttavia che il guaritore-chirurgo scarnificasse con una pietra ruvida la parte di cute interessata e, in seguito, erodesse l’osso fino a raggiungere la materia cerebrale. In altri casi, invece, veniva asportata una rondella d’osso cranico, presumibilmente con strumenti in ossidiana (o in bronzo in epoche più recenti), che in seguito all’intervento veniva risaldata. Ciò è dimostrato dal rinvenimento di uno scheletro femminile nella valle di Lanaittu, nel territorio di Dorgali. La donna, ribattezzata Sisaia – nome che indicherebbe il suo essere un’antichissima antenata dei sardi (Bisaia, in sardo, significa “bisnonna”) – era stata sepolta in una grotta, su un letto di frasche, insieme ad alcuni oggetti di uso quotidiano, pochi ma tipici del corredo funebre femminile. Analizzando il cranio di Sisaia, si è scoperto il rinnesto di una rondella d’osso precedentemente asportata dalla calotta cranica. Un’operazione perfettamente riuscita, le cui cause ci sono ignote, ma alla quale la paziente sarebbe sopravvissuta.
Sembra sorprendete, eppure in Sardegna è stato rivenuto perfino il cranio di un individuo sopravvissuto a ben tre trapanazioni, e deceduto nel corso della quarta, in quanto solo quest’ultima non presentava la formazione del callo osseo di cicatrizzazione. Davvero impressionante se si pensa agli scarsi strumenti con cui queste operazioni venivano eseguite.
A conferma del fatto che la pratica fosse largamente diffusa sull’isola, abbiamo altre scoperte analoghe. Crani trapanati sono stati infatti rinvenuti a Siddi nella regione storica della Marmilla, nella Domus de janas di Scaba ’e Arriu, risalente a un periodo compreso tra Neolitico ed Età del Rame, un altro nella necropoli di Taulera, nel territorio di Alghero, un altro ancora nella Grutta de is Bittulleris, a Seulo, in Barbagia.
Tutte testimonianze dell’esistenza di stregoni o di sacerdotesse, operanti già nelle culture prenuragiche, che avevano grandi conoscenze in campo medico e anatomico, dal momento che non solo riuscivano a tagliare, estrarre e reimpiantare rondelle ossee, ma come abili chirurghi riuscivano a non recidere i vasi sanguigni o altre delicate parti della testa, intervenendo sulla materia cerebrale senza causare – almeno in molti casi, come appurato – la morte del paziente.
Un’ulteriore prova, insomma, di come questo popolo fosse progredito non solo “spiritualmente”, come si è già detto, ma anche “scientificamente”.