Sardegna – Come si curavano i nostri antenati?
di Gianmichele Lisai
I rituali magico-religiosi degli antichi sardi
Se credete che le psicosi siano un problema dellāuomo moderno vi sbagliate. Anche i nostri antenati, sottoposti a preistoriche forme di stress, soffrivano di disturbi mentali. Oggi, per capire e curare simili patologie, abbiamo a disposizione una vasta letteratura scientifica e schiere di professionisti. Soprattutto, per tenerle sotto controllo, abbiamo i farmaci. Prendiamo, per esempio, lāinsonnia cronica legata a scompensi emotivi, alterazioni psicologiche e stati dāansia. Possiamo combatterla grazie a unāampia scelta di ansiolitici e antidepressivi. Basta la ricetta di uno specialista.
Le persone schiave di incubi, allucinazioni o altri tipi di turbamenti spirituali
Ma gli antichi sardi, che non potevano certo contare sul conforto di qualche pillola magica, come si difendevano da simili agguati della psiche? Un attento osservatore della realtĆ naturale e umana vissuto nel IV secolo a.C. sembra suggerirci una possibile risposta. Secondo quanto riportato da Aristotele nella Fisicaā e confermato da altri autori classici ā un tempo in Sardegna le persone schiave di incubi, allucinazioni o altri tipi di turbamenti spirituali, erano solite andare a dormire presso i templi contenenti le spoglie degli eroi nuragici, che avrebbero avuto il potere di liberare il malato da quella allora ritenuta, in tutta probabilitĆ , una forma di possessione demoniaca. Nellāipotesi in esame, il paziente veniva quindi posizionato vicino alla salma e, durante un rito che propiziava il contatto spirituale tra il mondo dei vivi e quello dei morti, precipitava in un sonno profondo, della durata di alcuni giorni. Un sonno che si ritiene fosse indotto da sciamani o sacerdotesse con la somministrazione di estratti di funghi o erbe soporifere. Un sonno al termine del quale lāindividuo si sarebbe risvegliato libero dalle sue ossessioni, senza averne piĆ¹ alcuna traccia neanche nella memoria. La pratica magico-religiosa appena descritta ĆØ conosciuta come ārito dellāincubazioneā e la sua stretta connessione con il riposo psicofisico non dovrebbe stupirci, dal momento che ancora oggi la terapia del sonno ĆØ utilizzata per analoghi scopi curativi.
Quale fosse il monumento destinato a simili riti non si puĆ² determinare con certezza, ma secondo Simplicio i corpi degli eroi nuragici divinizzati apparivano āincorrottiā, integri, con le āsembianze di dormientiā. Questo perfetto stato di conservazione tramandatoci dagli autori classici lascia supporre che fossero imbalsamati e custoditi in luoghi chiusi, come le tombe dei giganti, le domus de janas o i nuraghi. Secondo Giovanni Lilliu, la pluralitĆ dellāimmagine degli āeroi dormienti era evocata dal carattere delle tombe, a deposizione collettivaā, quali sono riconosciute, appunto, le tombe dei giganti. Secondo Antonio Taramelli, āestendere anche agli ipogeiā come alcune domus de janas il rito dellāincubazione āparrĆ cosa verosimile, se non ovviaā.
Eppure, secondo Massimo Pittau, solo in certi nuraghi troviamo dei āveri e propri loculi entro i quali sta perfettamente un cadavere immobileā, quindi adatti a contenere una salma integra e visibile. Se nelle tombe dei giganti il rito si sarebbe potuto svolgere solo presso lāesedra, e non certo allāinterno dellāangusta camera, solo nei nuraghi, nelle capanne circostanti e nelle domus de janas di adeguate proporzioni lāofficiante avrebbe avuto lo spazio per stare in piedi, vigilare e operare agevolmente sul paziente per narcotizzarlo e protrarne il sonno qualora fosse stato necessario. Le tombe dei giganti, inoltre, per i detrattori della tesi che le vedrebbe come il luogo deputato a simili cerimoniali, essendo sepolture comuni, forse addirittura ossari, poco si adatterebbero allo status di mausoleo celebrativo degli eroi descritto da Aristotele, e per quanto anchāesse siano popolarmente ritenute luoghi magici, portatori di energie positive e curative, sembrerebbero inadeguate al rito descritto.
La testimonianza di Aristotele
Non a caso, proprio la testimonianza resa da Aristotele, che rimanderebbe a unāimportante monumentalitĆ sacra, ĆØ uno degli argomenti degli studiosi che sostengono la funzione religiosa e funeraria del nuraghe in contrapposizione a quella esclusivamente militare e civile.Che sullāisola simili riti avessero effettivamente luogo non ĆØ possibile determinarlo con certezza, ma la cultura locale ha conservato nel tempo consuetudini che sembrerebbero discendere proprio dallāincubazione a scopo terapeutico. Nel XVI secolo Sigismondo Arquer riferiva dellāusanza di pastori e contadini di trascorrere la notte nelle chiese campestri, dove udita la messa in onore del santo si trattenevano per ballare, cantare e sacrificare animali in onore del patrono. Un rituale pagano contestualizzato dal cristianesimo: cosƬ come i sardi antichi si recavano a dormire presso i templi nuragici, i loro discendenti hanno conservato lāuso di dimorare presso le chiese di campagna, dove le reliquie del santo hanno sostituito idealmente quelle dellāeroe divinizzato. Di tale pratica sono un esempio anche le contemporanee āfeste lungheāinsas cumbissias, piccoli edifici sorti in prossimitĆ dei luoghi di culto al fine di ospitare per giorni i pellegrini.
Tradizioni simili a quelle sarde si registrano anche nel sud della Corsica
Durante lāetĆ del bronzo si era sviluppata la civiltĆ torreana, affine a quella nuragica. Come riporta Dolores Turchi, fino al secolo scorso, nel santuario di San Martino, a Sartene, la notte dellā8 settembre venivano lasciate dormire le persone affette da problemi psichici. Nelle chiese campestri di alcuni borghi dellāoristanese, invece, erano portati a riposare individui in stato di shock per un forte spavento e, sempre fino al secolo scorso (in rari casi tuttāoggi), in varie zone della Sardegna, numerose donne esercitavano la medicina popolare mescolando conoscenze empiriche e superstizione. In alcuni centri, prima di praticare la terapia sul malato, queste aspettavano la morte di qualcuno: la presenza di un defunto era infatti necessaria per trasferire sul cadavere il ādisturboā che affliggeva il paziente. In sostanza, qualora il problema fosse stato interpretato come la possessione di uno spirito maligno, si procedeva con una sorta di esorcismo.
Un caso comune era il trattamento dellāepilessia
Fino agli anni Cinquanta, in certi paesi, era ancora possibile trovare lāusanza di introdurre il malato in una camera mortuaria, dove la donna che eseguiva il rito, fatti uscire dalla stanza tutti i presenti, recitava sos berbos, āle paroleā magiche, le quali mettevano in contatto il vivo con il morto e su questāultimo spostava il male. Un rito che, ancora una volta, sembra rievocare lāincubazione a scopo terapeutico di epoca nuragica. Dāaltra parte, come scrive sempre Dolores Turchi ā che allāargomento ha dedicato alcune tra le pagine piĆ¹ interessanti ā āle vecchie credenze non scompaiono facilmente specie se son ben radicate nellāanimo popolare; se mancano le condizioni primarie donde sono scaturite, si modificano e si adattano alle nuove situazioni, ma non si cancellano, anche se cambia la religione o lāassetto socialeā.
Il demone del sonno, ovvero lo spirito maligno che certe notti ci possiede turbando il nostro riposo, in Sardegna ĆØ noto come sāAmmuntadore, tradizionalmente identificato con lāincubo.
Pubblicato originariamente sul numero di ottobre 2016 di City&City Magazine