Liliana Cano, donna di quadri
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Ma anche di murales come Les Amants du Soleil, il trittico realizzato per l’università di Tolone o il grande telero per la World Trade Center di Amsterdam. È Liliana Cano la pittrice sarda che l’Europa ci invidia
È autunno, ma la giornata è limpida.
Mamma è di sotto che lavora, prego, si accomodi…
Come se mamma fosse impegnata al portatile, tazza di caffè in mano, connessa con il mondo.
Mamma invece sta mescolando qualcosa in un barattolo. L’odore nell’aria è quello inebriante e creativo dell’arte, quella che Liliana trasferisce da un’ottantina d’anni su tele – grandi di solito – o superfici murarie; il dentro o il fuori di case, musei, università. In Italia o all’estero.
Liliana è sarda di genitori, ma è figlia grata al mondo. Ha 94 anni e progetti per tutto il prossimo secolo, alimentati da una voglia di fare, inventare, creare e produrre che ha solo chi ama visceralmente il proprio lavoro.
Come sempre succede quando si chiacchiera piacevolmente i discorsi prendono l’iniziativa; svoltano curiosi a destra e sinistra senza un apparente filo conduttore; è così che parlandomi della sua infanzia mi racconta di quella volta che, bambina, rientrata a casa da scuola chiede a sua madre cosa volesse dire chiacchierare. Non aveva capito cosa intendesse la maestra che aveva appena ripreso uno scolaro per via delle chiacchiere. Allora come oggi Liliana è tutt’uno con la superficie bianca e lo strumento con il quale lascerà il segno del suo passaggio, al punto che allora non sapeva cosa significasse chiacchierare ed oggi dice di non essere capace di farlo. Ma non è vero. Ne sono testimone.
Posso darti del tu?
Certo, ci mancherebbe…
Percepisce il mio disagio a far altrettanto, mi sorride e mi invita a farlo.
Anni ’50: via Usai a Sassari come Montmartre à Paris. Laboratorio Sassu cenacolo artistico animato da Meledina, Spada, Piu. E Liliana: unica donna.
Sì è vero, ma del resto, pare che già le pitture rupestri fossero in gran parte opera di donne (n.d.r. uno studio condotto dalla Pennsylvania State University sulle contro-impronte realizzate con la tecnica dello stencil sulle pareti di 8 grotte ha potuto stabilire che tre quarti di esse siano state lasciate da mani femminili).
In molte tue opere si legge un grido contro la prevaricazione inflitta dal potente sul debole…
Sì, ne sono molto colpita: dal centauro che insegue la fanciulla al padrone che vessa i contadini. Per il murales dei moti angioini a Bono per esempio ho studiato gli avvenimenti storici, ma mi sono lasciata guidare dagli aneddoti che ancora vivono ancora nella memoria storica delle genti di quel luogo: i padroni nei campi, non paghi del loro potere, che pretendono di sedersi sulle schiene di contadini accovacciati. E la rivolta dei lavoratori…
Ottant’anni abbondanti di arte: qual è stata l’evoluzione della tua pittura?
Ho iniziato da bambina. Mamma, pittrice per passione, mi metteva sul tavolo oggetti per la copia dal vero: fiori, frutta, cacciagione… e ne venivano fuori nature morte proporzionate, come se avessi studiato per farlo. Gli studi avvennero poi, ma già da piccolissima vedevo un oggetto e sapevo che ne avrei potuto riprodurre le forme su un foglio con la matita o direttamente con i colori. Era, ed è ancora, qualcosa che stava dentro di me e non aspettava altro che di uscire. La mia è una ricerca continua esclusivamente dentro di me; per quanto possa restare affascinata dall’arte altrui, Tintoretto come Van Gogh, ogni passo che muovo è per scoprire un’altra parte di me.
Oltre a quelli che hai citato, dall’arte di chi sei rimasta affascinata?
Dall’arte di tanti, ma ti racconto un episodio che mi è rimasto nella memoria: sono nata a Gorizia, ho studiato a Torino e sono arrivata a Sassari per la prima volta dopo la guerra; qui ho iniziato ad insegnare in una di quelle scuole che allora servivano per l’avviamento al lavoro, quando sono stata chiamata in direzione; apro la porta, entro e per poco svengo… Il direttore era Mario Delitala! E stava lavorando. Stava incidendo!
Sei rimasta affascinata dalla sua tecnica?
Sai cos’è la tecnica? È quella cosa che dice che non sei un pittore.La tecnica – che poi non è una sola – nasce con il pittore. Ognuna nasce per portare fuori ciò che un artista ha dentro di sé; se non ha nulla, anche se le mani sanno usare una tecnica, non produrrà nulla che possa chiamarsi arte. Quando un artista ha qualcosa da dire, la tecnica gli fugge dalle mani, la inventa sul momento pur di far venire fuori ciò che non può più stare dentro.
Per una che dice di non saper chiacchierare se la cava davvero bene; ridiamo tanto.
Liliana è un fiume di ricordi che scorre nel racconto lento, ma senza soste, di aneddoti ricchi di persone e personaggi che sembrano dipinti. È capace di riprodurre con le parole una percezione visiva e comunicarti una sensazione come avrebbero fatto con il pennello Manet o Monet, Degas o Renoir. Non è per loro che ha trascorso 18 anni in Francia, ma per trovare altri bandoli nella matassa e ricominciare ad intrecciare ognuno. Col pennello naturalmente.
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