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Il caleidoscopico mondo di Jim Solinas
La musica come immenso pozzo di magia: pensieri, collaborazioni e progetti futuri dell’hammondista sardo
di Roberta Marceddu
Jim Solinas, al secolo Gian Mario Solinas, ha una visione chiara, sincera e propositiva del presente e del futuro. Instancabile e poliedrico, ci offre la sua concezione della realtà umana attraverso il dualismo bello/brutto, armonia/disperazione, umanità/egoismo. Con 8 tracce del suo primo album solista, nato dopo tanti di anni di collaborazioni con i migliori musicisti sardi, ci fa entrare nella sua personale “mostra di quadri sonori”.
Jim nasce a Sassari nell’aprile del 1978 e la passione per la musica inizia molto presto grazie ai vinili di famiglia di musica classica, rock e progressive. Nel 2000 si diploma in pianoforte con la lode e il massimo dei voti per poi proseguire gli studi nel triennio jazz post diploma. Si perfeziona sotto la guida di Fausto Zadra all’Accademia CIEM – Mozart di Losanna e con Franco Scala, direttore dell’accademia pianistica di Imola “Incontri con il maestro”. Nel 2007 acquista un organo hammond, glorioso strumento elettrofonico che fungerà da apripista per un mondo musicale più vasto, perfezionandosi con l’organista di fama mondiale Tony Monaco durante i seminari del festival Tuscia in jazz.
Ha svolto attività concertistica in qualità di pianista classico per varie associazioni ed enti concertistici. Passa presto all’attività di tastierista nei più svariati stili musicali, restando prolifico e attivo nell’attività dal vivo anche attraverso numerose collaborazioni in qualità di arrangiatore, tastierista e session man. I nomi sono tanti: da Joe Perrino e i Grog con i quali pubblica due album “W w la guerra” e “L’esercito del male”, a Francesco Piu per “Peace and groove” e per l’album live “Cann o’ nau session” come pianista e hammond player. Con Giovanni “nannigroove” Gaias in qualità di collaboratore/tastierista e Giuseppe Spanu, incide anche il disco di debutto “nannigroove experience”, presentato al prestigioso festival Time in jazz.
Oltre che in quest’ultimo, il suo nome è presente nei programmi dei più noti eventi come Moncalieri jazz festival, Narcao blues, Aglientu summer festival, Genova giovani talenti, Jazz italiano per le terre del sisma, Sardinia reggae festival, Mantova music festival, Tuscia in jazz e tanti altri.
Jim è anche docente ed educatore presso le scuole medie e superiori statali in qualità di maestro di pianoforte, tastiere moderne, musica e teoria.
Come stai vivendo il periodo Covid? La musica dal vivo è quasi del tutto bloccata.
È una fase che bisogna accettare, è nostro dovere e nostra responsabilità trovare un modo per poter creare, diffondere e dare conforto, ne abbiamo bisogno. È difficile per tutti, non solo per i musicisti. Siamo umanamente debilitati in un certo senso! Perché quel che possiamo fare ora è la creazione di nuovi materiali che, volendo, possiamo anche diffondere nell’immenso mondo della rete. Lo so, la musica dal vivo è impossibile, dobbiamo essere responsabili per noi stessi e per gli altri, non mi sognerei mai di affrontare un concerto fatto nel modo tradizionale adesso, specialmente nei piccoli club, lo troverei a dir poco incosciente. Ovviamente suonare mi manca tantissimo, soprattutto per il contatto con il pubblico difatti, a parte rari casi, mi sono rifiutato di fare concerti in streaming, non può esistere uno scambio di energia tra artista e pubblico attraverso una telecamera che ti guarda come Al 9000, il computer di 2001 odissea nello spazio.
Parlaci del tuo album. Finalmente solista!
Eh sì, finalmente solista, dopo taaanto tempo (ride). È un lavoro che è nato dal desiderio più disinvolto, voler fare ciò che in quei momenti di concepimento creativo sentivo dentro senza aver paura e rimorso, nelle caldi estati partendo dal 2011 fino a 5 anni fa. Penso di aver toccato diversi stili musicali, volevo che avesse un suono solido, dichiarato, in parte classico e conosciuto ma che, potesse essere anche caleidoscopico in un certo senso e viaggiare attraverso diverse correnti musicali. Ho pensato all’album come a una galleria di quadri, diversi ma accomunati da un unico grande discorso, l’umanità nella sua forma nobile ma anche animalesca e disperata. La stessa copertina, fatta dal bravissimo Antonio Lucchi, rappresenta il dualismo che è insito in ognuno di noi, la bellezza e il suo contro, la mente illuminata in un corpo insettoide orripilante e la testa dello scarafaggio in un corpo armonioso, puro e asessuato. Infatti il disco inizia con “Falling down”, una caduta vorticosa verso il basso, quasi a toccare il fondo per poi sentire alla fine una voce disperata che chiede finalmente aiuto, chiede umanità, calore e considerazione, dimenticando il proprio ego, affogando l’orgoglio. Nelle altre tracce i personaggi sono diversi, dall’importanza degli amici in “Sunny side of the street”, al moderno edonista che guida la sua vita troppo velocemente per poter far caso agli altri come in “Driving fast”, La consapevolezza dell’io autentico in “Dreaming” fino al disperato ubriacone in “Night owl” e una canzone di amore ingenuo ma autentico di “Silk” e via discorrendo. Musicalmente? Sento di rispondere come Frank Zappa dicendo che “parlar di musica è come ballare d’architettura”, il meglio che posso fare è invitare all’ascolto e godersi il momento. Nel disco hanno suonato tanti amici e colleghi di cui ho grandissima stima, Giuseppe Spanu (chitarra), Gianluca Gadau (chitarra), Fabrizio Conconi (chitarra), Francesco Piu (chitarra), Fabrizio Leoni (basso), Giovanni Gaias (batteria) e Maurizio Pinna che ha registrato e mixato il tutto presso il suo studio ad Alghero, SoundRoom Studio Recording Mixwithnorules. Il disco è stato masterizzato da Peter Doell.
Che progetti hai per il futuro?
Tanti, tantissimi! Sia per quanto riguarda le collaborazioni e ovviamente anche per i miei progetti futuri. Sono già al lavoro per il mio secondo album, ho preso la bicicletta e voglio pedalare finché ho fiato. È molto raro ritrovarmi stanco quando si tratta di creare qualcosa. Poter scrivere arrangiare e suonare è un grandissimo privilegio e un grande dono, dobbiamo onorarlo. Soprattutto, spero presto di poter portare la musica al di fuori di un supporto audio digitale o fisico e suonare ciò che ho scritto dal vivo, davanti a degli esseri umani in carne e ossa, soprattutto in un palco basso, odio il distacco che si crea nei grossi palchi che distanziano te dal pubblico. Questo è quel che mi manca di più perciò. Uno dei progetti imminenti che sto portando avanti è quello di rispettare le normative anti-covid con mascherina, disinfettante e senso civico. (ride) Comunque spero sempre di avere grande curiosità ed esplorare il più possibile o di essere trasportato anche da colleghi nelle situazioni musicali più disparate.
Sono molte le tue collaborazioni. Con quale genere musicale ti senti veramente a casa oltre al Jazz? Ho un debole per i Rodeo Clown, lo ammetto!
Ho collaborato con tantissimi musicisti per svariate situazioni musicali e generi. Con gli amici Joe Perrino (le ultime news su di lui le trovi qui, n.d.r.), John Solinas (leggi la sua intervista, n.d.r.) e i Grog con cui abbiamo realizzato due dischi, è stato un bellissimo periodo in cui mi sono divertito veramente tanto. Forse un giorno quando questo nefasto periodo sarà finito, faremo ancora qualcosa di nuovo insieme, mi mancano. Ho avuto il piacere e l’onore di partecipare anche a due dischi di Francesco Piu, una fantastica esperienza che mi ha permesso di poter vivere situazioni nuove e vitali nella vita di un musicista. Giovanni Gaias noto “nannigroove” e Giuseppe Spanu, anche con loro è nata una bellissima collaborazione musicale oltre che un’amicizia profonda e sentita. Abbiamo suonato anche in contesti musicali importanti e stimolanti. Una delle cose di cui faccio maggiormente tesoro nel contesto musicale con loro è il fatto che siano molto giovani, questo mi ha portato a conoscere nuovi concetti nel modo di creare e concepire la musica con sonorità più moderne. Con Gavino Riva, potrei dire tante cose su di lui e la sua musica ma non le trovo mai: un artista, amico e uomo immenso. Ogni concerto è sempre diverso con lui, un’esperienza nuova. Ed ecco i Rodeo clown, storico gruppo della nostra città: con loro ho avuto il piacere di registrare il loro ultimo album in divertenti sessioni di studio, adoro il loro lavoro e la loro trascinante simpatia. Il jazz? No grazie! Idem vale per tutti gli altri generi, lo dico perché non sono mai stato un purista sfegatato di nulla e per natura caratteriale non mi sono mai voluto incarnare in una famiglia unica. Nasciamo soli e moriamo soli (ride). Per me la musica è un immenso pozzo di magia – tutta tranne il reggaeton (ride) – ci sono tante cose giorno per giorno da conoscere ed esplorare e noi siamo gli attori, non sempre dobbiamo fare la parte del cattivo o del buono. Alcuni ruoli riusciamo a interpretarli meglio o peggio a seconda della nostra attitudine. Bisogna imparare a indossare anche una maschera e rimanere comunque se stessi. Mi sento così, un umile operaio della musica e niente di più.
In pochi conoscono l’hammond, come invoglieresti un ragazzo ad iniziare il suo studio?
Prima di tutto gli direi di diventare molto paziente e forte visto che pesa 200 kg e 80 kili di Leslie (ride). A parte gli scherzi, è uno strumento meraviglioso, oserei dire magico e onirico, estremamente versatile in tutti i generi musicali moderni. Quando suoni in organ trio hai la possibilità di fare anche il bassista con la sua pedaliera, estremamente divertente! La prima cosa che farei per invogliarlo è suonare qualcosa per lui per trasmettere l’amore che ho per questo immenso strumento. Comunque in Italia, come nel resto del mondo. l’hammond è ormai considerato uno strumento classico e nobile. Ci sono tantissimi organisti bravissimi in giro per lo stivale. Un altro motivo per invogliare un giovane tastierista a suonare l’hammond sta nel fatto che è uno strumento con cui far impazzire e spettinare i chitarristi (ride)!
Cosa pensi del panorama musicale in Sardegna?
La Sardegna è ricca di bravissimi musicisti, giovani e meno giovani, che propongono progetti validissimi. Siamo pieni di grandi talenti e ciò mi riempie di gioia specialmente quando si tratta di giovani adolescenti. Sappiamo e vediamo come il mondo stia prendendo una certa piega nella produzione della musica e molte volte è difficile trasmettere quanto sia bello sedersi, o mettere a tracolla uno strumento, e farlo diventare quella parte di te che ti completa permettendo di liberarti di qualsiasi problema. In un momento dove alla musica culturalmente si dà poca importanza, ogni band e ogni musicista è una ricchissima miniera, come la manna dal cielo. Molte volte ci lamentiamo della nostra isola: è vero che raggiungere la terraferma a volte è quasi impossibile, ma sento anche di dire che da noi la musica live, rispetto ad altre parti, vive ancora un fermento che ha un sapore sano e genuino, oserei dire benevolmente ingenuo. I musicisti che producono, sognano e credono in quello che fanno meritano questo e conseguentemente il mondo intero. A loro, e anche a me (ride), i miei più sinceri auguri per una vita prolifica di arte!