LBA Basket – Dinamo, altro addio in arrivo: Pasquini saluta definitivamente
Tutto nasce con il Moro di Venezia
e lo sgraziato – ma efficacissimo e dannatamente astuto – Tom Sheehey, nel battesimo sassarese in Legadue. Il gigante d’ebano Floyd Allen imperversa sotto le plance. La rapida guardia è attaccante puro, impegnato a fare bottino decisivo per una lusinghiera salvezza. Il cocktail è impeccabile, e custodisce la squadra nel basket di elite. Nelle prime stagioni importanti della Dinamo arrivano a Sassari un paio di grandissimi giocatori, destinati a platee ed appuntamenti internazionali. Tutti i supporters di vecchia data conservano negli occhi il divino fenicottero Dallas Comegys, con le sue giocate di straordinaria sensibilità e le movenze aeree, che anticipano dei balzi prodigiosi e delle soluzioni offensive da prestigiatore del parquet. L’altro leader e purosangue di quel periodo di lento lievito è l’esplosivo ed indimenticabile Anthony Frederick, prematuramente mancato. Tony era una guardia esplosiva e vietata ai deboli di cuore, specialista della rasoiata dalla distanza negli ultimi secondi della partita.
In questi primi anni del Banco di Sardegna anche Paul Thompson fa la sua parte con il massimo profitto, e lascia ai tifosi di Piazzale Segni il ricordo nitido di un’ala lineare ed intelligente, sulla quale fare affidamento. Sono arruolate dalla dirigenza alcune ottime guardie ed ali: ma in tanti lamentano l’assenza di un centro di peso e grandi numeri nell’area calda. La Dinamo si affida alla pista slava. Nel 1994 Marcello Perazzetti dorme sonni tranquilli ai tabelloni, nel quintetto che presenta l’intimidatore ed immarcabile totem Radislav Curcic, essenziale manuale dell’antico pivot.
In questa Dinamo anche l’ala forte Kenny Miller fa bene. Seguono stagioni controverse e ricche di scelte affrettate, meteore ed autentici flop, con qualche lodevole eccezione: Jonathan Haynes è un play veloce e di cristallino talento; e l’irascibile George “Crazy” Banks una buona ala dalle credenziali atletiche da Superman e l’umore fragile. La situazione precipita fino alla doppia retrocessione consecutiva della squadra sarda: la prima è scongiurata con l’acquisto del titolo sportivo di Forlì, caduta in cattive acque economiche; e poi una nuova bocciatura – stavolta irreversibile – nonostante la presenza di vecchi eroi come il generoso Dan Callahan, il rimbalzista Ken Barlow ed il cecchino Steve Burtt ex topscorer del torneo: semplicemente incredibile! Segue un triennio oscuro di delusioni e problemi economici. Il Banco rinasce con la promozione del 2003, e tornano i campioni ad allietare l’esigente platea indigena. Questa volta la scelta dei nuovi americani è seguita con scrupolo triplicato, ma sempre con esiti alterni: non sono poche le stecche, anche se Abram si rivela una vecchia volpe, ed il lungo Guillerme Yango è un discreto giocatore di notevoli attributi difensivi. Il gelido ed individualista campione Lionel Chalmers – play e primadonna invidsa allo spogliatoio sassarese – si carica le responsabilità della salvezza del Banco, e riparte con tanti punti segnati e gli osanna della gente. Ma sono altri giocatori di razza, che portano la Dinamo all’era dei play-off per l’accesso alla Serie A, e su tutti il bravissimo play-guardia Eddie Shannon, gran regista di semplice duttilità; ed il guerriero mormone Trent Whiting, un bravissimo factotum amatissimo dal nostro pubblico. Il discontinuo e fortissimo Marcelus Kemp ed il tascabile genietto Jason Rowe in regia realizzano il lungo sogno. E’ arrivata la Serie A.
Nel primo anno di questo sogno il Banco cala un tris da brividi, che scatena le attenzioni di mezza Europa: il fuoriclasse Travis Diener alla sala dei bottoni, per innescare un centro di grande atletismo come Othello Hunter e lo strepitoso Air James White, signore delle schiacciate. Il resto lo conoscete: il sublime attaccante Drake raggiunge Travis, e la famiglia del Wisconsin elegge l’isola della bellezza quale nuovo e lungo domicilio, mentre un altro grande nome come Thornton decide di vestire la nostra casacca, dopo il breve passaggio dei validi Ignerski e Plisnic. I giorni nostri sono Green: il verde speranza del piccolo e carismatico Marques e dell’eclettico ed eccellente Caleb, che si traduce nella realtà di una vittoria esaltante con il contributo di un altro asso come Omar Thomas. Che squadra, ragazzi!
E non dimentichiamo mai i migliori italiani. Nel cuore la Strana Coppia Casarin-Bonino, inseparabile asse portante di questa salita lunga e faticosa verso la vetta di una montagna altissima. Ed ora che la coccarda tricolore è cosa nostra, ci piac epensare che anche Emanuele Rotondo possa fregiarsi di questo lusinghiero successo. Il campione nato in casa ha lungamente portato la croce e permesso alla piccola Dinamo di ieri questa prepotente escalation. Nella nostra Hall of Fame – la galleria che omaggia le stelle luminose della Dinamo signora italiana di coppa – sarebbe stato un delitto cancellare il suo nome, mentre continuano i festeggiamenti.
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