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A modo Meo – Intervista a Meo Sacchetti, coach Dinamo
La leadership saggia di Romeo Sacchetti è una chiave decisiva
Il nocchiero di razza si riconosce nel momento della tempesta.
In uno scorcio di smarrimento collettivo dei giocatori e della tifoseria, improvvisamente depressi dopo l’euforia della Supercoppa, la serie di sette sconfitte consecutive tra campionato ed impegni europei ha tradito un complesso di fragilità e di cattivo amalgama tra i campioni scelti.
Non era facile ricostruire sulle ceneri dello squadrone guidato dai meravigliosi ed indimenticabili cugini Travis e Drake Diener.
Ma il passato è solo un album di ricordi da sfogliare con gelosa tenerezza, ed è tempo di rapida ed imperiosa ricostruzione. Senza perdere la testa, la cortina dei baffetti di Meo ha abilmente celato sorrisi e smorfie, impeti d’ira e malumori. Ha lasciato partire il perplesso Cusin verso Cremona, ha chiesto al grande carisma di Logan uno sforzo supplementare, ha completato il bagaglio atletico e tecnico di Shawn Lawal, ha restituito Jerome Dyson all’antica grandezza, ed ha fatto valere il conforto dello zoccolo duro dei fedelissimi italiani di suo figlio Brian oltre al recupero di Sanders e Brooks fondamentali nei play off
Ed il Banco di Sardegna ha ripreso a correre coronando una stagione trionfale con uno storico scudetto.
L’INTERVISTA
Coach, puoi offrirci il riepilogo di questo anno, che ci ha regalato tante soddisfazioni? Il tuo impegno è per un progetto che arriva fino al 2018…
Abbiamo ottenuto due titoli con due squadre diverse. Lo scorso anno abbiamo vinto la Coppa Italia, ed in questa stagione abbiamo ottenuto la Supercoppa davanti al nostro pubblico di nuovo la Coppa Italia e lo scudetto con una serie di finale combattutissima. I trofei restano in bacheca per sempre ed ora fanno parte della nostra storia. E’ il segnale di un buon lavoro collettivo e di una crescita autentica. Ma adesso arriva il difficile: le aspettative sono aumentate, ed ogni nostro insuccesso viene vissuto con maggiore severità dai nostri tifosi.
Tu sei il pompiere dei momenti difficili, Meo. Ma il nostro slogan è: “Ricordiamoci chi siamo e da dove siamo partiti”. Affacciarti al palcoscenico europeo ti ha riempito di orgoglio…
E’ inebriante arrivare al top del basket continentale. E’ una gratificazione enorme per me e di giocatori, ma anche per il presidente ed i tifosi. Abbiamo imparato tante cose da questa esperienza di esordio: ci siamo misurati con grandi realtà tecniche e con le trasferte lunghe e faticose, ed è chiaro per tutti che occorre lavorare duro per riuscire a competere.
Ti saresti voluto trovare al posto dei tuoi campioni?
L’ho detto. Nella mia carriera di giocatore non mi sono mai permesso questi appuntamenti. Le regole di ammissione erano diverse, e poteva accedere solo la squadra vincitrice del campionato.
Il basket è cambiato dai tuoi allori europei a Nantes negli Anni Ottanta. Oggi qualcuno sostiene che in campo si vedano troppi stranieri. Quale è la tua medicina per fare crescere i nostri virgulti?
Tutto nasce con la legge calcistica Bosman, estesa ad ogni disciplina. Ha aperto la libera circolazione, ed in qualche modo è finito lo storico vantaggio delle squadre che impostavano il proprio lavoro sulla valorizzazione dei nostri migliori giovani. Si è creato un gap generazionale con l’arrivo di tanti stranieri e naturalizzati. Ma fammi aggiungere che i nostri giovanotti si sono adagiati malinconicamente. E’ nella difficoltà, che si tempra il carattere e si lotta per emergere ed avere spazio.
Quale è il tuo rapporto con la Sardegna?
Ho trovato un mare bellissimo, che mi ha regalato apertura mentale e respiro. Escluso l’anno siciliano di Capo d’Orlando, io non avevo mai provato questa bellissima sensazione. Alla mia età è molto importante. In Sardegna c’è una grande qualità della vita. La mia scelta di vivere ad Alghero nasce da questa condizione di benessere che mi aiuta a pensare.
Hai piantato le radici?
No. Io sono l’allenatore e non il Presidente. Ogni anno si riparte da zero. Sono perfettamente consapevole che il passato non ti faccia vivere di rendita, e che la mia annuale riconferma in Sardegna sia strettamente legata ai risultati ed al gioco espresso dal mio roster.
Cosa ti aspetti ancora dalla tua squadra?
Voglio la costanza di rendimento dei miei giocatori. La mia squadra ha un potenziale tecnico enorme, ma ancora ha difetti strutturali nella costanza di rendimento e nella gestione mentale di certe partite. Bisogna essere umili e comprendere che l’esercizio quotidiano per migliorare individualmente rende più forte la squadra nei momenti decisivi della stagione.
Un’ultima osservazione, coach Sacchetti. Sassari è pazza di voi. Ti sei reso conto di guidare qualcosa che è più di una squadra?
Da quando siamo ragazzi abbiamo scelto il basket per divertirci. Ma quando diventa un mestiere e ti misuri a certi livelli, capisci che stai rappresentando i sogni e l’orgoglio di un’isola intera. Abbiamo il dovere e la voglia di onorare il grande abbraccio dei sardi.
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