La versione di Becciu: “Ecco cosa mi disse il Papa nel nostro colloquio”

Nel convegno del ciclo Racconti e Paesaggio si espone l’intrinseca connessione fra una delle più importanti artiste sarde del ‘900 e l’ambiente
di Francesca Pitzanti
Si è svolto il 16 ottobre ad Ulassai, l’incontro sul tema Racconti e Paesaggio con la storica dell’arte Elena Pontiggia, autrice della monografia di Maria Lai dal titolo “Arte e Relazione” edito da Ilisso.
A presentare l’incontro la docente di Storia dell’arte contemporanea dell’Università di Cagliari, Rita Pamela Ladogana che ha guidato i partecipanti in un viaggio che ha ripercorso le tappe evolutive del vasto lavoro dell’artista di Ulassai, sottolineando quanto l’approccio alla cultura debba essere possibile coglierlo e viverlo nella realtà di tutti i giorni.
In una sala gremita della Galleria Comunale di Cagliari all’interno degli spazi espositivi della mostra “Opera sola” dedicata a Maria Lai, gli interventi della direttrice dei Musei Civici di Cagliari Paola Mura, della soprintendente di archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna Maura Picciau, del direttore del Museo della Stazione dell’Arte di Ulassai Davide Mariani e dell’editrice della Ilisso Vanna Floris, si sono incentrati sul rapporto dell’artista ogliastrina con la sua visione del territorio e della sua arte, quindi dell’esistenza stessa.
Fra il pubblico la mitica storica dell’arte Maria Luisa Frongia a cui la Pontiggia dedica un pensiero dicendo: “Farò la miserabile figura del chierichetto che dice messa davanti al Papa”.
La centralità del paesaggio
“Parlare di paesaggio con Maria Lai è un po’ parlare di tutto, perché ogni cosa diventa paesaggio.
In realtà il paesaggio nel 900, nel secolo breve, è sempre qualcosa di pensato non di visto. L’atteggiamento cambia con l’avvento del futurismo, che si ispira a posti reali ma non è la visione di quello che avevano davanti a loro gli artisti. Una cosa del genere la fa anche Maria Lai.
Per lei Il paesaggio è la ricerca dell’infinito in quanto il paesaggio non è un luogo circoscritto: è qualcosa che non ha limiti”
“Attraverso il ritmo, – continua la Pontiggia – non è fatto di figure ma di tante note musicali che si avvicinano (e qui si riscontra l’insegnamento di Salvatore Cambosu). Se non ci fosse il ritmo, sarebbe solo una semplice esposizione senza il modo di articolare musicalmente le parole. E così nei paesaggi dipinti è la stessa cosa: è il ritmo che rende i paesaggi infiniti.”
Oggetto paesaggio: il Telaio
Il XX secolo vede una importante rivoluzione: l’arte concettuale, dove l’artista fugge dalle forme tradizionali dell’ambito espressivo (pittura e scultura, per esempio) per immergersi nella realtà rappresentando il proprio pensiero attraverso materiali che si trovano nella vita quotidiana.
“Maria Lai entra in questo solco – racconta la Pontiggia – e inizia ad usare il filo mettendo il telaio al centro dell’opera ed esso stesso diventa l’opera d’arte.
Il telaio è il simbolo di come sia complesso intessere relazioni che sono il senso profondo della vita. “Vita è creare legami” diceva lei, e pone questo concetto al centro della sua arte. Per questo usa il filo invece che dipingere delle linee perché attraverso la filatura, che lei sentiva profondamente propria, si esprime la necessità di creare legami.
Ma allora perché definirlo come oggetto paesaggio?
Perché paesaggio è tutto ciò che lega l’uomo all’altro uomo e l’uomo alla natura. Paesaggio è la vita che ci circonda, le relazioni che intrecciamo fra di noi, col mondo, con la natura e con l’infinito. Questo è il concetto di paesaggio che quindi può essere rappresentato anche come un telaio.”
Il paesaggio inteso come legame, ed è qui che la sua ricerca di un modo diverso di fare arte si sviluppa in quella che sarà la sua opera più rappresentativa, la prima performance di arte di relazione a svolgersi in Italia: Legarsi alla Montagna.
Ulassai come metafora del mondo
“Maria Lai attraverso la sua arte cerca sempre la metafora “ – afferma Davide Mariani – “ l’ha fatto quando le hanno chiesto un monumento ai caduti: il nastro celeste è come l’arte, sembra qualcosa di frivolo e inutile ma in realtà può indicare la via di salvezza”.
L’opera di legarsi alla montagna, molto ricercata affannosamente dai musei a livello internazionale, non usa la comunità in maniera passiva, non è un’operazione puramente decorativa, ma le persone hanno preso attivamente parte all’opera. Il conflitto fa anche parte dell’opera, una donna che, riprendendo il pensiero di Gramsci, voleva che l’arte debba incontrare l’uomo di strada e lo fa con tutti quelli che sono i limiti profondi insiti nella persona.”