
Vito e Sandro alla Rocky Marciano: si ritirano imbattuti da “La Prova del cuoco”
La spola tra la Sardegna e gli studi di Cinecittà con un bagaglio di trenta chili può diventare una bella avventura, se il fine è promuovere le eccellenze sarde. Lo dicono il noto ristoratore sennorese Vito Senes e lo chef di Ossi Sandro Cubeddu che suonano per sette volte consecutive “il Campanile” della Prova del Cuoco, trasmissione di Rai 1 condotta da Antonella Clerici e – grazie ai telespettatori che votano via facebook – arrivano diritti in finale. Nell’attesa di sapere chi li sfiderà a maggio, ci scambiamo un po’.
Feeling perfetto tra Vito e Sandro che all’occorrenza danno gusto alla solidarietà divenendone ambasciatori. Perché se l’arte culinaria è benessere e rispetto per la tradizione, il cibo è convivialità e musica. Lo sa bene Sandro, il cui locale di Sassari ne ripropone le confortevoli note. Mentre assaggiamo le sue squisitezze, ascoltiamo Vito che con il pretesto dell’esperienza televisiva, dà libero sfogo ad aneddoti e curiosità. Talvolta in maniera sorniona.
<<Con queste trasmissioni entri nel marketing vero e proprio. All’inizio non sapevamo cosa volesse la gente. Ed eludendo i consigli della Rai, abbiamo fatto di testa nostra. Dopo aver visto le vetrine tutte uguali delle altre regioni, attraverso le quali era difficile distinguerle una dall’altra, noi li abbiamo fregati. Abbiamo portato di tutto un po’.>>
Mentre Vito continua nel racconto,ci perdiamo nelle sfumature pastose dei salumi.
<<Avevamo bontà sarde dei mini caseifici del territorio isolano, pecorini sardi, formaggi caprini. Prodotti alimentari tutti selezionati e certificati, molti dei quali donati dai produttori stessi. Dal pane “Carasau” alla pasta artigianale. Olio biologico, conserve, miele, bottarga e dolci tipici>>.
Del resto la Sardegna è fonte inesauribile di sapori e tradizioni dalle origini che si perdono nella notte dei tempi.
<<Abbiamo presentato “Su Filindeu”, la pasta più rara al mondo dalla tecnica antica di trecento anni. I suoi preziosi fili eterei, come Dio, hanno sbalordito anche celebri cuochi internazionali. Tra i formaggi la “greviera” di Ozieri, chiamato anche il formaggio svizzero dei sardi, la cui storia ha dello strabiliante. Pare che un nobile di Ozieri attorno alla metà del XIX sec, di ritorno da un viaggio in Svizzera, conquistato dal Gruyère, abbia portato in Sardegna i tori di razza alpina e li abbia fatti incrociare con le originarie vacche sarde. Il prodotto preserva però tutto il gusto nostrano. Poi, il formaggio con l’argilla: “casu cun s’axridda”di Escalaplano, in provincia di Cagliari, preparato con tecniche secolari e una cappa realizzata con la polvere d’argilla durante la stagionatura>>.
Cullati dal ricordo del sugo sul fuoco, e dal confortante profumo del pane caldo della domenica mattina, gustiamo una zuppa di fagioli da cui si sprigiona il caratteristico aroma della maggiorana essiccata, accompagnata da fette di pane e olio.
<<La minestra della pioggia, che nutre l’animo e colma la fame>>
dice Sandro.
<<Quando si parla di cucina, si parla di arte, conoscenza e studio.>>
Lui che ha poco più di trent’anni non ama festeggiare i compleanni, forse perché ogni giorno è una scoperta, proprio come la sua cucina
<<qui siamo pizzaioli e impastiamo tutti i giorni. Partiamo dai lievitati. Siamo molto tradizionalisti; recuperiamo il pane che presentiamo a pranzo con la zuppa e la sera diventa pizza. in sintonia con la cultura del recupero di qualità, molto radicata in Sardegna>>.
Sia Sandro che Vito concordano sul concetto che <<non c’è tradizione se non c’è innovazione>>. Quest’ultimo è per il prodotto che si vede. Sandro è per la sua trasformazione. Propone così una pizza gourmet, dai profumi caratteristici, talvolta esotici, aperti al mondo, e nella moderna foggia a spicchi. In maniera certosina delinea i problemi legati alla lievitazione:
<<Noi siamo arrivati a fare impasti a pasta acida perché possano durare due o tre giorni. Farine macinate a pietra in mulini piccoli che lavorano grano selezionato. Purtroppo il mercato di questo cereale attualmente è molto particolare perché può essere mascherato e tagliato con qualsiasi cosa. Corre il rischio di partire da una base di ottima qualità e arrivare all’ondata di grani contaminati o pieni di pesticidi. Purtroppo non c’è grano che sopravviva senza trattamenti. Sono cereali sani la segale, il farro che resistono senza processi chimici, però poco panificabili>>.
Vito, influente consigliere svelando a tratti un animo ieratico, puntualizza:
<<quando si parla di cucina, si parla di arte, conoscenza e studio. Per esempio in Sardegna ci sono due giovani chef, Roberto Flore di Seneghe, specializzato nella gastronomia degli insetti e responsabile del “Nordic Food Lab,” prestigioso laboratorio di ricerca culinaria associato all’Università di Copenaghen. E Federico Lai, chef e biologo di Oliena che lavora ad Urbino e ha rinnovato “Su Arre”, l’antica polenta Barbaricina. La nuova generazione ha molto da dire>>.
Osservando il giovane Cubeddu non abbiamo alcun dubbio. E se poi va si accompagna alla generazione precedente, riesce perfino a raccontare vittorie.
Prima di congedarci facciamo strike con il dolce velvet, ennesima prelibatezza di Sandro: una sfera di cioccolato che nasconde un cuore di caffè e innumerevoli praline di cioccolata bianca. Ci sono cose che meritano lo strappo alla regola.