La versione di Becciu: “Ecco cosa mi disse il Papa nel nostro colloquio”

Karim Aga Khan, da vivo e adesso da morto, ci dimostra quanto la Sardegna non sia un popolo, ma una moltitudine di sensibilità e culture capitate casualmente sullo stesso suolo insulare
di Francesco Giorgioni
Non potremo mai andare d’accordo su nulla. Per infantili questioni di campanile, ma anche per le impostazioni ideologiche di quelli convinti di aver sempre ragione.
Oltre i tempi e oltre la storia.
La morte dell’Aga Khan, in Sardegna, dimostra poi quanto una certa sinistra reazionaria, elitaria e spocchiosa sia distante dalla realtà e dai bisogni della gente comune.
Perché è soprattutto a sinistra che vivono i NO LUTTO.
Si rimprovera alla presidente della Regione di aver proclamato il lutto regionale per commemorare la morte dell’Aga Khan.
“Non in mio nome”, gridano indignati costoro. Un anno fa ha lasciato questa terra Gigi Riva e anche in quel caso venne proclamato il lutto regionale, ma non ricordo prese di distanza così stizzite. Ai più sembrò un riconoscimento doveroso, i meno ebbero il buon senso di tacere.
L’Aga Khan e Riva sono stati i simboli di due Sardegna, una con epicentro al sud e l’altra localizzata al nord est.
Figure apparentemente distanti ma molto più simili di quel che si pensi, a guardare la storia con obiettività: spogliandosi, cioè, da passioni e tifo.
Perché una parte della Sardegna odia l’Aga Khan anche da morto, al punto da non volergli riconoscere gli onori dell’addio?
Una ragione è di campanile. Difficile, per una parte dei sardi del sud, accettare di dover chinare il capo in segno di cordoglio davanti ad una personalità che sentono distante, soprattutto geograficamente.
Lutto dev’essere quando lo stabiliscono loro, non altri sardi.
Difficile, per molti di loro, capire che possano esistere forme di vita intelligente anche oltre la linea settentrionale di Assemini, in quella sterminata terra di nessuno intervallata da bidde poco civilizzate.
Ma questa è una parte minoritaria degli odiatori dell’Aga Khan, per quanto non del tutto marginale.
Ci sono poi coloro che non riconoscono la sardità della Gallura e, ancor di più, considerano la Costa Smeralda un innesto artificioso, avulso dal contesto, imposto con l’inganno alle popolazioni locali, seguendo le logiche di un feroce capitalismo colonialista.
In realtà, lo sappiamo tutti, dietro questi argomenti si nasconde anche una forma di umanissima invidia verso quell’angolo fortunato dell’Isola.
Il gallurese, per questa gente, è un servo disposto a vendere la dignità al primo padrone che offra un pugno di lenticchie.
Il gallurese che provi a difendere le ragioni della sua terra passa per gallurista, secondo la fulminante definizione del povero Luigi Cogodi.
Questa parte del NO LUTTO è localizzabile ovunque, da nord a sud. Inutile ragionarci, fornire numeri e raccontare loro le storie. La loro idea è fondata sul pregiudizio e ti risponderanno spiegandoti che il fondatore della Costa Smeralda è Briatore, si finirebbe insomma col perdere tempo e pazienza.
Veniamo a Gigi Riva e alle affinità con l’Aga Khan.
Sappiamo bene che l’atleta di Leggiuno è diventato l’immagine simbolica de Cagliari dello scudetto. E sappiamo che il Cagliari dello scudetto non fu, come semplicisticamente si vorrebbe far credere, la fortunata convergenza di tanti formidabili calciatori nella stessa squadra e nello stesso momento.
Il Cagliari dello scudetto è stato una creatura dei petrolieri sbarcati in Sardegna negli anni sessanta, un’operazione di marketing basata anche sull’irrisolto complesso di inferiorità di noi sardi.
Siccome Moratti e Rovelli dovevano far digerire al popolo sardo le ciminiere della Saras e della Sir, cosa di meglio del finanziare la principale squadra di pallone del’Isola permettendole addirittura di vincere un campionato?
Aria inquinata in cambio di un trionfo sportivo. Sì, la Saras non è stata solo miasmi, ha prodotto anche reddito e benessere.
Ma ad un prezzo certamente più salato rispetto a quello pagato dalla Sardegna per la Costa Smeralda.
Scriveva l’autorevole giornalista cagliaritano Vito Biolchini nel 2014:
“Nel 1967 le società della famiglia Moratti e dell’imprenditore Nino Rovelli (Saras e Sir) acquisirono le quote del Cagliari Calcio: avevano bisogno di creare nell’opinione pubblica isolana il giusto clima di consenso a favore della incredibile impresa che volevano realizzare: mutare l’economia dell’isola e spalancare le porte alla petrolchimica, sontuosamente finanziata dai fondi statali del Piano di Rinascita. Ciminiere a Sarroch, Ottana, Porto Torres e Assemini, centinaia di miliardi bruciati in pochissimi anni in una impresa economica in gran parte fallimentare. Ma una squadra di calcio (seppur con relativo meritatissimo scudetto) non poteva bastare ad anestetizzare i sardi, e così Rovelli si comprò prima la Nuova Sardegna e L’Unione Sarda: tutta l’informazione isolana finì improvvisamente sotto il controllo dei signori della petrolchimica. Una voce unica a favore di un modello di sviluppo unico: la monocultura chimica. I danni li stiamo pagando oggi, sono sotto i nostri occhi”.
Riva era un brav’uomo e un eccellente calciatore, ma anche lo strumento inconsapevole di un’operazione di colonialismo capitalista che aveva bisogno di imbonire l’opinione pubblica. Preciso: la definizione “capitalismo coloniale” non è mia, ma del saggista Giorgio Meletti che alla Saras ha dedicato la riuscitissima inchiesta “Sarroch-nel paese dei Moratti”.
Però Riva era alto, bello, giusto, calciava fortissimo e in più aveva deciso di stare a Cagliari rinunciando alle offerte di squadre più blasonate, scelta che rinvigoriva l’orgoglio di noi sardi minato dai succitati complessi d’inferiorità.
Per noi galluresi, Karim è stato un Gigi Riva. Era alto e bello pure lui, non sapeva giocare a pallone ma aveva scelto di spendere parte della sua vita in una terra fino allora povera e isolata. E siccome complessi di inferiorità ne avevamo pure noi galluresi, non potevamo che dimostrarci riconoscenti per essere stati scelti da uno degli uomini più ricchi e famosi del mondo. All’Aga Khan i NO LUTTO imputano di aver devastato le coste più belle della Sardegna imbrattandole di cemento, in cambio di qualche posto di lavoro sottopagato.
Poniamo che sia vero (e non lo è). E le ciminiere a Sarroch non furono forse una devastazione ambientale, peraltro aggravata da decenni di emissioni di gas i cui effetti non sono mai stati chiariti? La differenza tra Aga Khan e Riva sta tutta in una squadra di calcio, nella compiacenza della stampa e nell’essere stato Riva primattore del più grande trionfo sportivo della Sardegna. Gigi Riva girava l’Isola in auto e si fermava a bere Ichnusa con i pescatori. E allora io concludo con una storia che conoscono in pochissimi e riguarda Hussain, uno dei figli di Karim. Un mio parente stretto, per anni, ha fatto parte della sua scorta personale. Raggiunta una certa età, essendo la scorta un lavoro estenuante, chiese di essere riassegnato al servizio ordinario. L’anno seguente, al ritorno a Porto Cervo, Hussain notò la sua assenza e ne volle conoscere le ragioni dai colleghi della sicurezza. Ma le spiegazioni non furono sufficienti. Volle essere accompagnato alla casa di campagna di quell’umile addetto alla sicurezza, dove si fermò per qualche ora: solo per salutarlo e ringraziarlo, ricordando le tante avventure vissute assieme.
Non esistevano i social e non c’erano foto da postare su instagram o spedire ai giornali, doveva restare solo un momento di condivisione tra due persone che avevano percorso un tratto di vita in comune, anche se con ruoli molto diversi.
Ecco perché noi abbiamo voluto bene a questa gente. Non solo perché ha modificato in meglio il corso della nostra storia, ma perché questa gente ha dimostrato di voler bene a noi, oltre l’interesse d’impresa.
So bene che per i NO LUTTO il figlio dell’Aga Khan resta solo un miliardario stronzo e viziato, al di là di ogni empatia e di ogni gesto di umanità.
E so altrettanto bene che, per aver scritto queste ultime righe, ai NO LUTTO apparirò come un servo sciocco, manipolabile dal padrone con un banale atto di apparente magnanimità. Non perderò tempo a convincerli che non sia così, perché so bene che anche questo è la Sardegna.
Un luogo senza concordia e abitato da troppa gente senza misericordia.
Una terra incapace di concedere una speranza a sé stessa.