Serie D – Ilvamaddalena-Paganese 2-0: è salvezza definitiva per i ragazzi di Acciaro

Antonello Unida
Garante Territoriale di Sassari delle Persone private della Libertà personale
Eccomi Amiche ed Amici miei con un altro appuntamento con tutti Voi, oggi parliamo della rieducazione. Come dice il titolo a cappello, rieducare riguarda tutti noi, non solo il detenuto. Perché?
Ma per cercare un nuovo paradigma, per poter andare avanti, per uscire da una perenne stagnazione, soprattutto in questo particolare mondo.
Se per educazione deve intendersi quel processo per cui si cerca di tirar fuori da ogni Persona il meglio che ha da darci, rieducazione significa poter riprovare ancora una volta a raggiungere lo stesso risultato.
Rieducazione significa in altre parole provare a dare un’altra possibilità.
Sono entrato in Struttura come Garante Territoriale dei Diritti delle Persone private della Libertà, da pochi mesi, (23 novembre2019) e ogni volta che mi interrogo sulla ragione ultima che mi spinge a varcare tante porte blindate per incontrare le Persone detenute, giungo sempre alla stessa risposta: fame di confronto, desiderio profondo di capire in che modo si possa fare del male, desiderio di capire quale strada si possa di nuovo imboccare per poter ancora una volta ricominciare.
Sto avendo degli incontri molto profondi, intensi, andando incontro all’altro, in profonda epochè ( termine a me caro, greco, che sta a significare sospensione del giudizio) ogni volta è un incontro unico, un “allenamento” particolare, nel trovare insieme le giuste pause, silenzi, gesti, parole…parole giuste per dire il proprio dolore, ma soprattutto per comprendere e assumersi la responsabilità del dolore arrecato ai familiari delle vittime.
Particolarmente coinvolgente è stato per me l’incontro, presso il mio studio, con la madre di un giovane uomo, ucciso, mentre pedalava come d’abitudine sulla sua bicicletta, da un cosiddetto “manager rampante”, che credono fermamente che un uomo di successo deve fare 10 cose contemporaneamente, una mano sul volante quindi e un’altra sul cellulare…L’impatto è stato fatale.
La madre, pur annientata dal dolore, si confronta periodicamente con platee di giovani, invocando incessantemente che sia data la possibilità ai familiari delle vittime di un incidente stradale di incontrarsi con il volto e il racconto dell’autore del reato.
Impossibile per me non pensare quasi da subito al mio stile di guida, e alle diverse volte in cui anche io, sprezzante delle regole della strada, ho guidato con una mano sul cellulare e una sul volante.
Il percorso di rieducazione quindi, non riguarda solo le Persone detenute, ma ognuno di noi, è un percorso permanente che deve costantemente impegnarci a figurarci il volto dell’altro, e il male che dobbiamo sempre sforzarci di evitare di arrecargli. L’altro è sempre una parte di Noi, teniamolo a mente.