Sassari – Numero attivo 24 ore su 24 per emergenze: incontro il 6 maggio

Tre ore di spettacolo in un Teatro Comunale tutto esaurito ed entusiasta
Massimo Ranieri in concerto a Sassari il 29 marzo 2025: già la rarità dell’evento farebbe notizia, visto che un accadimento di questo tipo si verifica normalmente a distanza di lustri. La piazza, dal canto suo, ha risposto con un tutto esaurito al teatro Comunale e anche questo conferma l’attesa e la risonanza dello show, inserito nel tour “Tutti i sogni ancora in volo”, con la regia di Edoardo Falcone e dello stesso Ranieri e organizzato dall’Associazione Il Leone e le Cornucopie.
Lo spettacolo, articolato su due atti inframmezzati da un intervallo, è durato quasi tre ore, in cui l’artista ha alternato i suoi successi storici – da “Rose rosse” a “Perdere l’amore”, “Se bruciasse la città”, passando per “Erba di casa mia” – alle sue produzioni più recenti, compresa “Tra le mani un cuore”, presentata al Festival di Sanremo 2025, inserendo peraltro in scaletta ampie citazioni della tradizione napoletana, fra cui “Maruzzella”, “Anema e core”, O’ Sarracino” e “Tu vuò fa l’americano”. Non solo un concerto, ma anche un recital, dato che Ranieri ha dimostrato la sua versatilità sul palco anche nella veste di attore e ballerino. Il pubblico, neanche a dirlo, ha partecipato entusiasta e a lunghi tratti, sollecitato dal mattatore, ha cantato coralmente i refrain dei suoi intramontabili successi.
Fin qui il dato di cronaca, ma fra le pieghe dello spettacolo si sono potute cogliere alcune sfumature che hanno reso questo concerto probabilmente uno dei migliori fra quelli di Ranieri visti a Sassari, non solo a detta dei suoi sostenitori. Proviamo ad evidenziare qualche passaggio che si è rivelato un fattore di successo.
Intanto, l’istrionico artista ha voluto aprire il suo spettacolo citando uno degli dei dell’Olimpo musicale isolano, vale a dire Andrea Parodi, attirandosi subito le simpatie della platea. Captatio benevolentiae, dicevano i latini: e funziona sempre.
Poi ha proseguito, fra una canzone e l’altra, raccontando sé stesso anche con un pizzico di ironia, specie quando ha reso nota la vicenda del suo nome d’arte: al secolo Giovanni Calone, il suo primo pseudonimo artistico, quando era ancora giovanissimo, fu “Gianni Rock”, per sua stessa scelta, sebbene – sottolinea – non avesse mai cantato una singola nota di un brano rock. Si era quindi tenuta una riunione con i suoi discografici, per superare questo improbabile appellativo e lì, durante il brainstorming, venne fuori l’idea: innanzitutto, chiamarsi con il cognome Ranieri, come il principe: e fin qui tutti d’accordo. Occorreva tuttavia trovare il nome e lì si scatenarono proposte come Alfio, Pasquale e perfino Peppino (lui allarga le braccia al pubblico come a dire: “Pensate cosa ho rischiato!”). Tutte ipotesi fortunatamente scartate, finché uno dei funzionari alzò il dito e disse: “Che ne dite di Massimo? Massimo Ranieri!”. E un applauso dei presenti sancì il nome d’arte all’unanimità.
Il tema della serata è stato, come da titolo, la potenza del sogno, l’irrinunciabilità del continuare a sognare, che sta a fondamento della vita stessa. E, fra i sogni più importanti, ricorda il cantante, c’è quello di trovare il grande amore. Ma anche qui eventuali derive zuccherose vengono stemperate con l’ironia: Ranieri ci racconta (vero o no, poco importa) che lui stesso è ancora alla ricerca del grande amore e talvolta sogna di uscire di casa, voltare l’angolo e trovarlo, ma ancora non c’è riuscito, ecco perché a volte esce in orari diversi, non si sa mai… (il pubblico ride divertito).
Il suo racconto si sposta dal sogno a toccare talvolta temi ambientali e sociali e più volte sottolinea l’importanza di recuperare una dimensione personale dei contatti umani, di uscire e di evitare di chiudersi in casa a guardare i telefilm sulle piattaforme, abitudine che conduce all’isolamento e alla diffidenza reciproca. Evita invece – da showman consumato – temi divisivi e riesce quindi a mantenere lo spettacolo nei binari della leggerezza.
E infine un obbligatorio cenno al contenuto tecnico-musicale della serata.
La scaletta, come detto (al netto di un paio di brani non indimenticabili) è molto ben costruita e la dinamica sale costantemente di intensità fino al gran finale, concentrando nel secondo atto alcuni dei suoi più grandi successi, con cambi d’abito molto scenici, fra cui una colorata tenuta (un po’ guappo, un po’ Michael Jackson) con un “borsalino” calato sulla fronte sui brani resi celebri da Carosone.
La band che lo accompagna, inoltre, è di grande valore e lo spettacolo ne trae indubbiamente beneficio: batterista, bassista (che alterna basso e contrabbasso elettrico senza cassa), due chitarristi, fiati, violino, percussioni, tastiere e le coriste che, quando non cantano, suonano anche loro uno strumento musicale, contribuendo ad arricchire la sonorità dei brani. Su “Maruzzella”, poi, al posto della chitarra acustica, spunta anche uno strumento rinascimentale a corda, il cui arpeggio aggiunge una connotazione barocca al brano, che è una vera gemma musicale.
In conclusione: emozioni, leggerezza, classici intramontabili della canzone italiana, alto livello tecnico. Ed è inevitabilmente un successo. L’artista esce dal sipario fra gli applausi, si accendono le luci in sala, arriva anche la passerella fra le fans che si assiepano a bordo palco porgendogli regali, fra cui spicca un cuscino rosso a forma di cuore. Si chiude il sipario. Le luci in sala si spengono. Qualcuno esce dal teatro, pensando che il concerto sia finito: è un errore strategico, perché l’istrione, dopo aver atteso la richiamata in scena con gli applausi del pubblico, si ripresenta sul palco con altri tre brani travolgenti e mette il sigillo su una serata memorabile.
In ultima analisi: il genere può piacere o meno e, sempre per citare i latini, de gustibus non est disputandum, ma la cifra tecnica e la qualità dello spettacolo erano oggettivi e la presenza della città nel circuito di eventi di questo livello è un segno di vitalità che fa ben sperare per il futuro.