di Emanuele Floris
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Raccontare tutto quel che si sa, essere quel che si dice di essere. È questo il leitmotiv – dal sapore di un imperativo – nel blog di Anthony Muroni, 30 anni da comunicatore professionista sulle spalle. Giornalista, scrittore, docente, ha conversato con noi su zoom, lontano fisicamente centinaia di km, ma sempre col desiderio e la volontà di azzerare le distanze attraverso lo scambio di informazioni e di conoscenze
Anthony Muroni è giornalista, scrittore, docente e comunicatore. Un percorso iniziato nel 1972 nascendo a Perth in Australia.
I miei genitori, emigrati, lavoravano lì. Una permanenza durata però poco. E io ho trascorso la mia infanzia in quell’angolo di Sardegna- la Planargia- che non avrei cambiato con nessun altro al mondo.
Da Tresnuraghes, il suo paese, a 18 anni inizia la carriera da giornalista.
Lavoravo come collaboratore periferico da Cuglieri. Da giovane cronista mi occupavo di cronaca nera in un periodo in cui si verificavano 12-15 omicidi al mese. Poi venni trasferito in corte d’assise come cronista giudiziario, scrivendo spesso sui processi per gli omicidi seguiti in precedenza.
Che cosa le ha insegnato quel periodo?
Devo dire che mi ha formato molto, educandomi al rispetto per vittime e carnefici. Un approccio umano che mi è stato utile nella professione e nella vita.
Si parla spesso del giornalista che si “consuma le scarpe.” Ha qualche aneddoto in merito?
Sì, coincide col mio primo giorno di lavoro all’Unione Sarda. Era il capodanno del 1999. Mi trovavo a Tresnuraghes per il cenone con gli amici. Ci fu però un omicidio a Borore e mandarono me. Pioveva a dirotto… Una pessima giornata per vivere, figuriamoci per morire. Alla fine della notte ero inzaccherato da capo a piedi, vittima di un’infreddatura e con un paio di scarpe, piene di fango, da buttare.
Fieramente sardo e genuinamente indipendentista; ma anche un attento e originale ricercatore che sa usare bene la sua pagina facebook e i nuovi mezzi di comunicazione
Dai fatti di sangue alla cronaca politica.
Gli inizi sono stati difficili. Qualche sindaco di provincia, mal tollerando il mio modo di pormi, mi ha dato pure dell’idiota. E anche a Cagliari, nella serie A della politica, ho subito diversi tentativi di condizionamento e velate minacce. Sempre gestiti tirando fuori la capacità di noi del centro-Sardegna di resistere alle asperità.
Per quasi quattro anni, dal 2013 al 2016, lei dirige l’Unione Sarda. Com’era come direttore?
Sono del segno del Leone e ho un carattere un po’ fumantino. Sono capace di grandi arrabbiature che di solito passano nel giro di pochi minuti. Devo dire però che all’Unione ho avuto una redazione di alto livello, dove tutti, dirigenti compresi, erano disposti a sacrificarsi.
Qual è stata l’intervista più difficile che le è capitato di fare?
Con Licio Gelli, il gran maestro della loggia P2. Intervistarlo richiese tutta la giornata. Il Venerabile aveva 90 anni e custodiva ancora tanti misteri.
Un altro personaggio famoso per i misteri e segreti è Francesco Cossiga a cui lei ha dedicato un libro: “Cossiga e l’alfabeto con la K.”
Il “picconatore”, a oltre 10 anni dalla scomparsa, resta un personaggio controverso e ancora attuale. In questo tempo disastrato della politica penso che si sarebbe divertito molto. Da Di Maio a Salvini credo non si sarebbe salvato nessuno dalle sue battute così come non uscirono indenni, in passato, tra gli altri, Prodi e Berlusconi, da lui sempre randellati.
Lei è attivo sui social, lavora in Senato, conduce programmi tv in sardo per la Rai, tiene corsi di comunicazione e ha anche partecipato all’esperienza politica di Autodeterminatzione. E il giornalismo? Oggi sconsiglierebbe di farlo?
Lo consiglierei se ci fossero le stesse condizioni degli anni 80. Ma non è più così. La gente, grazie alla rivoluzione tecnologica degli ultimi anni, si è ormai abituata a fruire l’informazione gratis e temo che i giornali impiegheranno sempre meno forza lavoro. Certo resiste il giornalismo d’inchiesta, come quello di Report, perché le persone hanno fame di informazioni riservate. Fare il giornalista può essere però un’esperienza utile per diventare comunicatore. In questo settore c’è un grande futuro sia nel pubblico che nel privato.
Quali sono le regole base, a suo parere, per la comunicazione?
Bisogna capire soprattutto che la comunicazione non è solo quella che facciamo noi ma anche quella che arriva da fuori e che bisogna capire. Poi si deve imparare a dire ciò che si fa e capire cosa chiedono gli utenti. Infine serve favorire la comunicazione interna perché spesso non circolano le informazioni.
Nel suo frigo non manca mai una bottiglia di malvasia.
Io sono praticamente astemio. La tengo per offrirla agli amici. È prodotta da mio padre, di una qualità rinomata e buonissima. Mi piace valorizzare i prodotti del mio paese, sono una specie di ambasciatore delle bontà della Sardegna.
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