Libri – ‘Prigioniero del mio nome’ la storia della famiglia Devoto
di Michele Tatti
Il presente che non finisce mai di passare
Non avevo messo in conto la difficoltà di rompere la corazza della riservatezza nell’accettare, un po’ sorpreso e molto lusingato, l’invito di Riccardo Devoto a dargli una mano a scrivere la storia sua e della sua famiglia. Pensavo, infatti, vista la sua apparente determinazione, a un compito giornalisticamente più facile. Invece in prima battuta, entrambi ci siamo trovati a fare i conti con il freno di una vera e propria sofferenza della memoria: troppi “non ricordo”, tanti “non mi sembra importante”, infiniti ripensamenti e tentativi di autocensure rispetto a quanto appena messo nero su bianco.
Il primo racconto era condizionato da un pudore di fondo riassumibile con un piccolo ma emblematico episodio: ho dovuto inalberarmi per scrivere che, in un popolo di titolari di seconde abitazioni, i Devoto non hanno avuto in eredità e ancora oggi non possiedono, neanche un monolocale nelle località balneari: ogni risparmio è stato reinvestito nelle imprese familiari e quando la crisi ha minato la solidità finanziarie, padre e figlio, hanno sacrificato per prime proprio le case al mare.
Nella fase iniziale il protagonista, rispetto alla dichiarata motivazione originaria di far sapere da dove viene per capire dove andare, più che parlare alla figlia sembrava scrivere per sé stesso. Come, tralasciando o non approfondendo singoli aspetti particolari, veniva messo in discussione il contributo da offrire alla città, alla storia di Nuoro segnata da vicende emblematiche, esaltanti quanto drammatiche, in grado di spiegare le contraddizioni dell’oggi.
Alla fine, Riccardo si è convinto a fare questo regalo a sé stesso, alla sua famiglia e alla città appropriandosi in un certo del pensiero di Octavio Paz: “La memoria non è ciò che ricordiamo ma ciò che ci ricorda”. E, soprattutto, della chiosa del poeta e scrittore messicano insignito nel 1990 del premio Nobel per la letteratura, sempre sulla memoria definita “un presente che non finisce mai di passare”.
Questo “presente” viene anche da tempi anche relativamente recenti come quelli segnati dai sequestri di persona. Vicende drammatiche da analizzare oggi anche da angolazioni diverse rimaste finora in penombra. Pensando allo spopolamento e al debole tessuto imprenditoriale non si può sfuggire da un passato caratterizzato dalla fuga di giovani forze intellettuali e economiche, rileggendo e magari attualizzando l’ammonimento del compianto vescovo di Nuoro monsignor Giovanni Melis impegnato negli anni Ottanta del secolo scorso a ribaltare i luoghi comuni quando invitava a chiedersi se non fosse la violenza a provocare la povertà, anziché la lettura spesso tutta ideologica sulla miseria che crea il malessere.
Così dalle tessere del puzzle ricostruito con Riccardo Devoto, emerge innanzitutto un’esaltante avventura imprenditoriale iniziata ai primi del Novecento in un centro agropastorale come Nuoro, più paese che città, di attivare con il Sudamerica trattative commerciali, transazioni finanziarie e organizzare il trasporto delle partite di caffè da tostare.
Da 125 anni i Devoto segnano la storia civile e economica della Barbagia e del suo capoluogo dove hanno affondato radici mai recise. Determinati, al contrario di altri, a non delocalizzare abbandonando la città e finendo per pagare un prezzo durissimo prima alle contromisure per evitare il sequestro a scopo di estorsione e poi ai rapitori quando, dopo due tentativi (compresa una clamorosa fuga per la prima volta nella storia dei rapimenti), furono costretti a versare un riscatto di 800 milioni (anche qui per la prima volta a ostaggio rilasciato) che segnò, anche per l’avida ottusità delle banche, la crisi dell’impresa originaria strozzata dagli interessi.
Una parabola familiare e imprenditoriale ripercorsa e analizzata per la prima volta dall’interno delle famiglie coinvolte, anche rispetto ai meccanismi del sequestro di persona, alla solitudine delle vittime. Una rilettura volutamente quasi impersonale che, scegliendo di non citare i nomi dei protagonisti, ha voluto anche tralasciare le vicende giudiziarie accertate almeno in parte. Da questo punto di vista, rispetto alle responsabilità personali, il passato è veramente passato e non merita – secondo Riccardo – di essere perpetuato nel rancore alimentato dall’istinto di rivalsa. Resta il dovere collettivo dell’analisi e della memoria. E resta l’omaggio, anche questo in parte frenato dall’innata ritrosia, a un’eccezionale avventura umana, civile ed economica che vede i protagonisti momentaneamente strappati dall’oblio da loro stessi voluto e costruito.
Nuoro non può e non deve evitare di approfondire, questa storia e tante storie che riguardano i Devoto e molti altri. È doveroso, non per loro ma per noi, scoprire e studiare uomini capaci di tenere testa ai sequestratori con incredibile sangue freddo ritrovandosi anche a fronteggiare un’opinione pubblica in parte facilmente manipolabile e incline al giustificazionismo tanto da trasformare le vittime in carnefici. In quella “zona grigia” sono nati e hanno operato imprenditrici e imprenditori capaci, nelle difficili contingenze attuali, di essere davvero d’esempio oltre ogni nostalgica retorica. In tempi di impegno civile e politico offuscato dalle indennità, di attaccamento al potere che perpetua sé stesso e di bene comune piegato agli interessi privati, è stato salutare anche per me scoprire personaggi come il signor Pippo capaci di offendersi a vita e dimettersi per un semplice sospetto, governare un ente pubblico senza indennità e rimborsi, rifiutare perché “non avevo tempo da perdere” gli incarichi nei consigli di amministrazione delle banche.
Scritto da Riccardo Devoto – coadiuvato dal giornalista Michele Tatti – il libro racconta le vicende umane e imprenditoriali dell’autore e della sua famiglia, protagonista della vita economica e civile di Nuoro per oltre un secolo, e purtroppo anche della fase più cruenta della lunga storia dei sequestri di persona a scopo di estorsione.
Nel 2005 la società è costretta a modificare la propria ragione sociale per via della estenuante crisi seguita al rapimento dello zio di Riccardo, Gigino Devoto, nel 1985 prigioniero dei banditi per 203 giorni. Dopo una liberazione “costata” 800 milioni di lire, l’impresa di famiglia deve abbandonare le storiche attività di torrefazione del caffè e rinascere come azienda immobiliare. Ma il dramma dei rapimenti inizia prima per i Devoto. Nel 1975 proprio Riccardo, allora quindicenne, sfugge a un primo tentativo di sequestro; un episodio che segna la sua vita già resa difficile fin da piccolo dal terrore dei rapitori, che imprigionava i Devoto in casa, con i bambini interdetti dal giocare all’aperto con i loro coetanei.
Prigioniero del mio nome ricostruisce tragedie umane personali, familiari e aziendali, moltiplicate spesso dalle incertezze degli apparati statali e accompagnate da crisi alimentate dalle banche. La ricostruzione diviene anche riflessione delle ripercussioni economico-sociali sulla vita nella provincia di Nuoro, menomata da una costante fuga degli imprenditori.
[gli autori]
Riccardo Devoto (Nuoro 1959), imprenditore nell’azienda di famiglia. Presidente di Confindustria della provincia di Nuoro dal 1995 al 2001 (al momento dell’elezione, il presidente provinciale più giovane d’Italia); presidente di Confindustria Sardegna dal 2000 al 2004 (al momento dell’elezione, il presidente regionale più giovane d’Italia); rapito nel 1975 all’età di 15 anni e liberatosi dopo sette ore (il primo che riuscì nell’intento di fuggire nella storia dei sequestri di persona in Sardegna).
Michele Tatti, 65 anni, giornalista professionista in pensione; per trent’anni ha lavorato al quotidiano «L’Unione Sarda», dirigendo come caposervizio dal 2000 al 2016 la redazione di Nuoro e occupandosi tra l’altro dei principali fatti di cronaca, compresi i più clamorosi sequestri di persona; per sei anni, fino al 2020 ha guidato, primo direttore laico, lo storico settimanale «L’Ortobene» edito dalla Diocesi di Nuoro.