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Il ritorno al ventre materno, morte e resurrezione al tempo delle Janas
I simboli che si osservano nelle domus di S’Acqua Salida e Corongiu (Pimentel) nascondono la soluzione di un enigma che oggi consideriamo insolubile? Un viaggio fra i segni della religiosità neolitica sarda
Di Paolo Salvatore Orrù
Sono i segni scolpiti in alcune Domus de Janas a donare alla necropoli di Pramantellu (Pimentel) una struggente forza magica. Sono segni che urlano al mondo verità che non riusciamo più a tradurre? Oppure sono i simboli di una preghiera sussurrata, con cui i defunti chiedono di tornare a vivere, di sfuggire dalla morte eterna? Sarebbe bello capire quale era il loro pensiero sulla vita e sulla morte, perché anche a noi piacerebbe sapere con certezza – prima di tuffarci nelle acque insondabili del buio eterno – quale sarà il nostro destino.
Forse i simboli che si osservano nelle domus de Jana di Corongiu e S’Acqua Salida nascondono la soluzione di un enigma che oggi consideriamo insolubile? Potrebbe essere.
Riproduzione grafica dei segni (scrittura?) della domus de Jana di Corongiu, foto web
Recarsi a Pramantellu è come regalarsi un viaggio all’inverso nel tempo, una visita ai nostri avi che 5000 anni fa furono sepolti in tombe che sembrano voler rappresentare un ventre materno. Come se dopo la morte dei simili i nostri antenati avessero immaginato di far ripercorrere al defunto la strada inversa della nascita, per riportarli dentro quella Madre Terra che un giorno li ripartorirà. Suggestioni? Certo, ma perché non provare a viverle?
La necropoli di Pimentel è composta da tre zone, la prima e la seconda sono a 200 metri di distanza, la prima è costituita da domus de janas del tipo a proiezione orizzontale e a pozzetto, la seconda e la terza a pozzetto. Davvero interessante la tomba 1, il risultato di più fasi costruttive: originariamente del tipo a pozzetto con anticella e grande cella, poi dotata di un lungo corridoio d’accesso al posto del pozzetto e ampliata sulla destra della grande cella, annettendo tre camerette sepolcrali di una confinante sepoltura. “L’anticella ha il riquadro dipinto in ocra rossa: il colore rosso era simbolo di vita e di morte. L’ingresso è volto a SO. La tomba 2 è costituita da un pozzetto d’accesso e da una cella rettangolare, il cui soffitto, parzialmente crollato, era originariamente sorretto da due pilastri. Sul pavimento è presente una vasca dove sono ricavate delle coppelle“, si legge in blog.insidesardiniaguide.it.
La parete che si oppone alla piccola porta è decorato in ocra rossa: due protomi taurine con schema a T dentro un riquadro rettangolare. Il colore rosso e la protome taurina sono i segni più comuni della religiosità neolitica sarda. “La tomba 4 – ci aiutiamo con la relazione di sardegnacultura.it – è articolata in un corridoio d’accesso, un’anticella e una cella. L’ingresso è orientato ad Est. La cella riproduce lo schema della capanna: lo dimostrano i particolari delle pareti e del soffitto dove corrono larghe fasce in rilievo simulanti il tetto e il relativo impianto ligneo di sostegno. Prossima al primo gruppo di tombe è un’area sacra con focolare e coppelle probabilmente destinata ai rituali funebri che precedevano la tumulazione“.
Le domus 5, 6, 7 sono del tipo a pozzetto con anticella e cella. La cella della tomba 6 presenta una nicchia rettangolare decorata con ocra rossa, un bancone sepolcrale ed un pilastro. Altre coppelle sono incise nella roccia sovrastante il secondo gruppo di tombe. La necropoli viene datata al Neolitico finale (cultura di San Michele, 3200-2800 a.C.), ma non mancano attestazioni di un riuso durante il Bronzo antico (cultura di Bonnanaro, 1800-1600 a.C.). La necropoli di Corongiu – risale al Neolitico finale – è costituita da un pozzetto d’accesso, un’anticella e una cella. Sulla parete d’accesso si mostra – interessantissimo – un ornato simbolico inciso e sottolineato in rosso. La fascia superiore è decorata al centro da un elemento verticale che si apre superiormente in due spirali: il naso e gli occhi della dea madre, sostengono gli archeologi. Ai lati in basso una linea a zigzag è limitata a destra da una spirale e a sinistra da due doppi cerchi. In alto, ai lati della doppia spirale od occhi della dea, sono rappresentati due motivi “a barca” con terminazioni a spirale. Due lunghi elementi verticali che si aprono superiormente e inferiormente in due spirali decorano le pareti ai lati del portello. Guardando queste incisioni non si può non avere un tuffo al cuore, perché queste testimonianze risalgono a 5 mila anni fa.
Non sapendo a chi attribuire questi scavi, i nostri nonni ritenevano che queste grotte fossero abitate da janas, donne un po’ particolari. Le janas vengono raccontate come esseri dalle dimensioni ridotte. “È interessante notare che nella tradizione sarda esistano le bajanas, ajanas e janas e in lingua logudorese le ragazze nubili venivano indicate con il nome di bajana o bazana. In quanto non sposate queste giovani donne dovevano ricoprire lo status di vergini, virghines o birghines appunto. Davvero affascinanti le conclusioni cui giunse Wagner in merito all’etimologia della parola jana. Il termine deriverebbe da Diana, divinità romana che per alcuni studi avrebbe in tutto il Mediterraneo usurpato il ruolo della Dea Madre“, scrive blog.insidesardiniaguide.it. Con il cristianesimo questa figura fu demonizzata e trasformata in una creatura femminile spaventevole e demoniaca, quale spesso è intesa appunto la jana.
Come arrivare
Imboccata dalla SS 131 la 128 e percorsi 10 km, si imbocca la SP 66 bis. Dopo 6 km si raggiunge Pimentel. Dalla piazza del paese si imbocca la strada comunale per Guasila che porta alla necropoli di Corongiu (prima carrareccia a sinistra) e alla necropoli di S’Acqua Salida (svoltando alla 4^ carrareccia sulla sinistra). Il sito è stato oggetto di indagine condotta dalla archeologa Ermerenziana Usai.
Bibliografia su le domus de janas di Pimente
E.Usai, “La cultura Ozieri a Pimentel e a Siddi”, in cultura di Ozieri: problematiche e nuove acquisizioni. Atti del I convegno di studio, Ozieri, Il Torchietto, 1988, pp. 217-222. E. Usai, “Pimentel (Cagliari) Loc. S’Acqua Salida”, in [i]I Sardi. La Sardegna dal paleolitico all’età romana, a cura di E. Anati, Milano, Jaca Book, 1984, pp. 113-118.
- Foto di Maria Collu e Paolo Salvatore Orrù