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Emanuele Rotondo, c’è solo un capitano
La nuova vita dell’ex Dinamo Emanuele Rotondo
di Alberto Cocco
La Dinamo di oggi è fatta di sliding doors.
Dopo l’amara diaspora dello squadrone di Meo Sacchetti e’ tempo di rinnovamento chirurgico del roster di un indimenticabile triplete. Federico Pasquini innesta il giovane talento Lacey ed il gran tiratore Carter, mentre Logan fa le valigie.
Non è più tempo di sentimentalismi, anche se il leader carismatico e silenzioso lascia una scia di vittorie e rimpianti, come il divino Travis Diener.
Emanuele Rotondo guarda a questo mondo con celeste nostalgia. Il campione della squadra in ascesa, guidata con familiare paternalismo dalla saggezza della famiglia Milia, non si riconosce piu’ in questo mondo di free agents e contratti di pochi mesi. Emanuele ed il suo innegabile talento hanno costruito le fortune di questa squadra, che in Legadue alternava annate fortunate di play-off alla drammatica bagarre nella lotta per la salvezza. Qualcuno ha scritto che la Dinamo dello scudetto sia nata nel drammatico spareggio contro Imola, trascinata dal grandioso Vincenzo Esposito, giunto al termine di una gloriosa carriera con il fiore all’occhiello della presenza nella franchigia di Toronto in NBA. Tantissimi punti ed il cuore oltre l’ostacolo, Emanuele Rotondo oggi è un uomo sereno e realizzato in famiglia, che divide il suo tempo fra la vita domestica e la passione dei campus con i giovani allievi.
Quanto rimane della Dinamo di ieri, Emanuele?La mutazione genetica è compiuta, o trovi ancora un ponte tra le due epoche?
Sul piano personale, mi piace molto che il presidente Stefano Sardara non dimentichi il passato e le nostre radici. Sono stati coinvolti vecchi percorsi ed eroi della nostra storia sportiva. Da poco è stata creata una splendida serata-revival, che sottolinea l’attenzione dei vertici societari. Se invece parliamo di marketing, è un altro mondo. Il club di oggi ha un appeal commerciale non paragonabile all’artigianato di ieri.
Che genere di rapporto hai costruito con la nuova dirigenza? Che cosa ti lega al nuovo corso della Dinamo?
Io e Nicola Bonsignori abbiamo la responsabilità del centro di reclutamento del minibasket, per i bimbi dai cinque agli undici anni. Organizziamo eventi e campi estivi ed attività di avviamento allo sport. Svolgo questo compito da sei anni con autentica passione. Sono molto orgoglioso dell’incarico, che il presidente mi ha assegnato.
Ti senti ancora la bandiera di una squadra, che ha raggiunto la massima serie ed è diventata nel tempo campione d’Italia? Credi di appartenere alla nostra Hall of Fame?
Credo di essere stato un giocatore importante. Per sedici anni ho dato punti e personalità, ed applicazione sui rimbalzi e nella fase difensiva. Mi sono sempre assunto le mie responsabilità, nei momenti decisivi di una partita. Credo dii appartenere a questa ideale Hall of Fame della nostra storia agonistica.
Si parla insistentemente di cantera biancoblù. In assoluta franchezza: a parte te e Gigi Da Tome, esistono i presupposti?
Chessa e Spissu sono stati sacrificati ad altre strategie…No, in questo momento no. Non abbiamo talenti cristallini, ma solo qualche interessante promessa. Marco Spissu è bravo, ha talento e grande determinazione. Massimo Chessa è un buon giocatore, ma non è stato aiutato da particolari doti atletiche, per imporre la sua tecnica. Nell’immediato futuro, la società cerca di reclutare giovani prospetti di altre regioni italiane, soprattutto nei ruoli scoperti di playmaker e centro.
Ti piace il nuovo corso della Dinamo, Emanuele? Credi che possa tornare in alto, o dopo la straordinaria impennata sia chiamata nel futuro ad un realistico assestamento nella Lega A?
Lo scudetto è forse arrivato prima del previsto. Abbiamo vinto per l’arrivo contemporaneo di alcuni campioni, guidati da un demiurgo carismatico ed in un anno di transizione del nostro movimento. Ora il progetto quinquennale permette di restare ai vertici per qualche anno. Non è detto che rivinceremo lo scudetto, ma possiamo confermarci nella pallacanestro dei quartieri alti.